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Consapevolezze – Christian Bernasconi: “L’orgoglio di un padre”

Atalanta, Lorenzo Bernasconi (imago) interna
Atalanta, Lorenzo Bernasconi (imago)

Il mio sogno è giocare in Serie A e la Champions League”. Quando Lorenzo ci aveva confidato questo aveva 9 anni. Era solo un bambino. La scorsa settimana quel bambino ha realizzato quel sogno. Lo ha aspettato e coltivato, ha conosciuto il senso del sacrificio e del lavoro, è rimasto in piedi e ci ha creduto. Ma deve essere solo l’inizio, lui lo sa. Vorrei raccontarvi di lui e del suo cammino. Farlo con gli occhi e l’orgoglio di un papà.

A volte le storie delle persone sembrano scritte nel destino. Unite da un filo rosso che ne disegna strade e legami. Ed è quello che è successo con Lorenzo e suo nonno, mio padre. È venuto a mancare poco più di un anno fa. Erano legati. Ogni settimana facevano un pranzo insieme. E Lorenzo non si scordava mai di portare un pallone per giocare insieme. Mio padre aveva già avuto due infarti, ma a suo nipote non diceva mai di no. Momenti e ricordi unici. Era stato lui a regalargli la sua prima maglietta. Da tifoso bianconero, gliene aveva regalata una della Juventus. Sapete quelle da bambini che si trovano sulle bancarelle? Ecco, una così.

Ma torniamo al destino. Mio papà è mancato poco più di un anno fa. Il 17 settembre 2024. Un anno dopo esatto, il 17 settembre 2025, Lorenzo ha esordito da titolare in Champions League contro il PSG. Una dedica è andata sicuramente a lui. E qualche mese fa, aveva anche segnato con l’U23 il giorno del suo compleanno. Dopo il gol ha guardato il cielo, quasi a volerlo salutare. La prima volta in uno stadio per Lorenzo era stata proprio con suo nonno a Torino. Questa volta, in modo diverso, è stato lui a portare mio papà in uno stadio. Anzi, direttamente in campo con lui. E poi ci sono gli altri tre nonni. Sono i primi tifosi di Lorenzo. La sua nonna materna è diventata ormai un’esperta di calcio e di mercato grazie a lui. Il nonno, invece, ha accompagnato diverse volte Lorenzo allo stadio, anche con mio papà. C’è un legame profondo con tutti loro.

Tra quei pranzi a casa dei nonni e la notte di Parigi c’è la storia di un ragazzo che è stato capace di partire dal basso e costruirsi ogni passo del suo percorso. Il pallone è sempre stato un suo compagno di vita. Lo teneva sempre con sé: a tavola, mentre usava altri giochi, in giardino. Era la sua passione. E piano piano ha iniziato a correrci insieme. Già, correre. Come in ospedale il giorno della sua nascita. Ero andato a prendere un panino al bar dell’ospedale. In quel preciso istante mi era arrivata la chiamata: era il momento. Sono corso in sala. Era il 16 novembre del 2003 ed eravamo a Crema. Ma lo sottolineo: lui è bergamasco. Ecco, questo è l’inizio del suo viaggio.

Provo un profondo orgoglio se penso a lui. Non solo come calciatore, soprattutto come uomo. Ha saputo mettersi in gioco, accettare i momenti della vita e accettare sé stesso, affrontare le difficoltà e uscirne più grande. E sono orgoglioso della persona che è. Un ragazzo semplice, umile, che vuole bene alla sua ragazza e alla sua famiglia, attento agli altri. E alla fine, da genitore, è quello che conta.

Pallone

È sempre stato un bambino rispettoso e attento. Da quando ha tre anni non si è più separato dal pallone. A casa giocava sempre con uno di spugna per evitare che rompesse tutto. Ha sempre voluto fare tanti sport. Ha voluto imparare a sciare, a giocare a basket, a nuotare. Il primo impatto con il nuoto è stato particolare: in mezzo al mare in Sardegna su un pedalò. “O vai o ti butto io”, è andata così. A tavola ha sempre amato le lasagne e la pasta al ragù della nonna Claudia. Gli idoli calcistici? Cristiano Ronaldo e Neymar. Studiare non gli è mai piaciuta molto, ma tra i banchi di scuola ha conosciuto la sua attuale ragazza. Stanno insieme da tanto, è qualcosa di significativo.

Torniamo al calcio. A cinque anni ha fatto parte di un progetto che univa calcio e psicopedagogia, la sua carriera è iniziata così. È un’esperienza a cui è molto legato. Poi è iniziata la sua carriera. È andato per gradi, partendo dall’Arcene, la squadra del paese. Faceva l’attaccante, nel tempo è stato spostato sull’esterno. È stato faticoso farglielo accettare. Era un bambino, voleva fare gol. Col tempo ha capito che poteva esprimersi meglio in quella posizione. Bisogna fare un passo indietro. Quando era piccolo, vedeva tanti suoi compagni che realizzavano dei traguardi. C’è chi veniva chiamato in squadre più importanti, chi per provini nei professionisti. Il suo percorso se l’è costruito con calma, senza bruciare le tappe. L’ha sempre vissuta con tranquillità. È come se avesse già la consapevolezza che ogni persona ha i suoi tempi. Ogni conquista ha i suoi tempi. Era solo questione di saper aspettare il momento giusto.

Atalanta, Lorenzo Bernasconi (Credits: Martina Cutrona) interna
Atalanta, Lorenzo Bernasconi (Credits: Martina Cutrona)

Il momento giusto

Il momento giusto poi è arrivato. Anzi, i momenti giusti. Prima la Trevigliese, poi la chiamata della Cremonese. Anche il Manchester United si era interessato a lui, ma non se ne era fatto nulla. A Cremona è partito dagli U16, arrivando poi in Primavera. È stato il primo contatto con una realtà professionistica. Lì sono iniziati i sacrifici. Usciva prima da scuola, prendeva il pulmino e andava al campo. Due ore di allenamento e alle 9 di sera tornava a casa. Vedeva gli amici uscire, lui andava a letto presto. Tutti i giorni al campo, l’abituarsi a una vita diversa. Ne è valsa la pena.

Dopo Cremona c’è stata l’Atalanta. Prima di parlare dell’esperienza a Bergamo, però, vorrei soffermarmi su un aspetto della storia di Lorenzo. Lorenzo è partito dal basso. E per lui è stato fondamentale. Ha vissuto tutto. La squadra del paese, quella di provincia e poi il professionismo. Il professionismo se l’è conquistato con il tempo e il lavoro, ci è arrivato nel momento giusto, appunto. Avendo fatto tutto questo percorso, ha sempre avuto i piedi per terra. Ha sempre saputo che tutto sarebbe potuto finire, per questo ha lavorato ogni giorno con serietà e rispetto per rendere realtà il suo sogno.

Rispettarsi

Ricordo ancora il giorno della firma a Zingonia. Un’emozione indescrivibile. È stato un orgoglio da padre. Vederlo partire dall’oratorio e arrivare, passo dopo passo, a essere chiamato da una squadra come l’Atalanta. Non è stato tutto così semplice. In Primavera ha incontrato diverse difficoltà. All’inizio non giocava molto. “Devo continuare a impegnarmi, è il mio lavoro”, quello che mi ripeteva. Gasperini ha deciso poi di chiamarlo ad allenarsi in prima squadra. Una bella soddisfazione. “Papà vado ad allenarmi con i grandi”, ricordo ancora la telefonata. Il tempo gli ha dato ragione. Un po’ come quando vedeva gli altri bambini essere chiamati in club importanti. Ci vuole tempo per tutto. Lorenzo in sé l’ha sempre saputo.

In lui ho visto una crescita costante, come persona e come atleta. L’esperienza con l’U23 è servita tanto a Lorenzo, come calciatore e come persona. È cresciuto in personalità. Veniva sempre definito come un ragazzo con un buon piede ma timido nell’affrontare l’avversario. Confrontarsi con i grandi gli ha fatto bene. Quello e, soprattutto, l’incontro con un mental coach che lo segue ormai da più di quattro anni. È cambiato nell’approccio alle partite, ha una personalità e sicurezza diverse rispetto a prima. E non è scontato che un ragazzo così giovane abbia il coraggio di accettare le proprie difficoltà e decidere di affrontarle. Soprattutto se riguardano la persona. Lorenzo ci è riuscito.

Lorenzo Bernasconi con il papà Christian

Il sogno di un bambino, l’orgoglio di un papà

In estate ci sono state tante offerte dalla Serie B, ma l’Atalanta ha voluto tenerlo in rosa. C’è stata l’amichevole contro il Lipsia. Eravamo a casa, mancavano pochi giorni alle vacanze. La partita era praticamente finita, all’improvviso ha segnato quel gran gol: siamo impazziti dalla gioia. Abbiamo urlato per 20’, continuavamo ad arrivare messaggi di amici. Arriviamo alla scorsa settimana. Lorenzo l’ha vissuta con normalità e tranquillità. Prima c’è stato l’esordio in Serie A contro il Lecce. È entrato a pochi minuti dalla fine della partita, quasi non ci credeva. Eravamo allo stadio, mi sono commosso vedendo quel momento. Mio figlio stava esordendo in Serie A. Dopo la partita ci siamo abbracciati. Aveva un sorriso che raccontava tutta la sua gioia.

Poi è arrivata la Champions League. La sera prima della partita mi arriva un suo messaggio. “Se stanotte non cambia nulla, domani gioco titolare”. In Europa, a Parigi, contro il PSG. Capite? Era un po’ teso, quando è sceso in campo tutto è svanito. Penso abbia fatto una buona partita. È rimasto impressionato dalla qualità e dalla velocità degli avversari. Quando l’ho visto entrare in campo tenendo la mano di un bambino mi sono emozionato. Una sensazione strana. Come un flashback. Ho ripensato a quando il bambino era lui e sognava di giocare in quegli stadi. Ora è un uomo che accompagna un altro ragazzo verso i suoi sogni.

Caro Lorenzo, quanta strada che hai fatto. Sembra ieri che giocavi in casa con quella palla di spugna o che il nonno ti regalava la tua prima maglia. Ora guardati, sei un uomo. E io da padre non posso che esprimerti il mio orgoglio. Vero, profondo. Continua a credere nel tuo sogno. Il sogno di quel bambino che sarebbe voluto arrivare in Champions. Hai iniziato a dare colore e forma al tuo percorso, ora non fermarti. Continua a camminare. Sempre con i piedi per terra come hai fatto finora. Ma questo lo sai, è la sua natura. Sono fiero di te. Tuo papà.