La notte bianca (e rossa) di Benali: “Bari, adesso puntiamo in alto”
L’intervista a Benali tra l’infanzia a Manchester, la salvezza del Bari e il futuro (suo e non solo): “Se Di Cesare sta bene, perché smettere?”
La salvezza del Bari val bene una notte (quasi) insonne. Garantisce Ahmad Benali. “Mi sono addormentato verso le 5 e mi sono svegliato alle 7.15. C’era tanta adrenalina ma va bene così”. La squadra biancorossa nella notte tra giovedì e venerdì è rientrata in pullman da Terni, celebrando la vittoria per 3-0 del Liberati e la permanenza in Serie B al termine di una stagione molto complessa tra sorrisi, palleggi in autogrill e messaggi social che sapevano di liberazione.
“Mettersi alle spalle quell’11 giugno, quella maledetta finale playoff persa contro il Cagliari – assicura Benali ai microfoni di gianlucadimarzio.com – è stato complicatissimo. Pensavamo di averlo digerito ma non è stato così”. I numeri del Bari lo rivelano: nove vittorie in tutta la stagione, playout inclusi, quattro gestioni tecniche cambiate, retrocessione diretta evitata grazie alla miglior differenza negli scontri diretti con l’Ascoli e una piazza in fermento. Rispetto a un anno prima, il mondo alla rovescia.
Bari, i segreti di Benali: “Nel calcio si va avanti con la serietà”
Ma Benali, 34 presenze e una centralità sempre più marcata in squadra, non ha mai perso la calma. “A volte sembra anche che si scarichino colpe sugli allenatori – racconta – ma le responsabilità sono state di tutti. Ci siamo trovati in difficoltà e non ne siamo più usciti. La squadra prendeva botte e non riusciva a reagire. In quei casi purtroppo il primo a pagare è l’allenatore. Dobbiamo ringraziare Federico Giampaolo e Vito Di Bari, ci hanno fatto tornare delle certezze e ci siamo sentiti di nuovo forti anche se il campionato ha dimostrato il contrario. Il ds Polito e il presidente Luigi De Laurentiis ci sono stati sempre vicini”.
A Bari da gennaio del 2023, nell’annata della promozione sfiorata Benali è stato un’alternativa affidabile. Nella stagione appena conclusa, complice anche l’infortunio di Maiello, è diventato un riferimento del centrocampo. Lo ha fatto evolvendosi, tornando davanti alla difesa come a inizio carriera, lui che da mezzala ha totalizzato più di 50 reti in Italia. A Terni, tornando sulla trequarti, ha giocato probablilmente la miglior partita della sua stagione. “Quest’anno mi sono sentito abbastanza completato come giocatore. Il primo pensiero era di far male all’avversario, ora di non prendere gol e legare il gioco – nel playout di ritorno mi è stato chiesto di giocare più avanzato, attaccare spazi, aggredire l’avversario. E’ un ruolo che conosco bene, però più che della mia prestazione sono contento della salvezza. Sicuramente sapevamo che c’era un solo risultato a disposizione e questo ha inciso sulla nostra prestazione. Dispiace sempre quando una squadra retrocede, mi sono messo nei loro panni a fine partita”.
Il collettivo prima del singolo: ricetta di un giocatore che ha fatto di serietà, affidabilità e lealtà le sue chiavi di accesso al terreno di gioco. “Mi mantengono ancora vivo, non sono più giovanissimo e devo curare tanti aspetti. Sin da giovane ho capito che dovevo essere una persona seria per manentere la categoria, servono sacrificio e disponibilità”.
Di Cesare eroe biancorosso: “Già al Brescia era un bambino trentenne. Lo è ancora”
Caratteristiche che a Bari trovano la perfetta sintesi in Valerio Di Cesare. Eroe della salvezza, capitano che Benali ha ritrovato da compagno di squadra dopo l’esperienza congiunta di Brescia tra il 2013 e il 2015. “Dico sempre che avendo giocato con lui 10 anni fa, era un bambino che aveva 30 anni. L’ho rivisto a Bari ed è ancora un bambino di 41 anni – sorride – ho ritrovato lo stesso ragazzone, sono straonorato di aver giocato con lui. Prendo spunti dal campo e a livello umano. Non è solo un capitano, è un grandissimo uomo con grandissimi valori. Lui non poteva mai chiudere con una retrocessione”. Con tanto di post-it sul futuro del difensore: “Ho sempre detto: se lui sta bene, perché deve smettere? La carta di identità è solo un numero, è il più forte della categoria in difesa. Sono scelte personali ma conosce il mio punto di vista”.
Di certo nel Bari che verrà ci sarà Ahmad Benali, che a suon di prestazioni ha meritato il rinnovo del contratto firmato a febbraio. “Innanzitutto ringrazio il ds Polito, ha sempre detto che parla il campo e che chi merita sarà premiato. A gennaio se fossi stato in scadenza sarei andato via ma ho dimostrato di essere ancora un giocatore che poteva dare una mano e la società mi ha sostenuto. A livello personale è una grandissima soddisfazione”.
Benali, forza e coraggio: “Cresciuto a Manchester con una cultura aperta”
Il nome Benali ha origini arabe e ha un significato legato alla forza e al coraggio. “Ben” significa “figlio di” in arabo, mentre “Ali” è associato alla forza e al coraggio. “Mi ci ritrovo – ammette Ahmad – prima di ogni partita penso a mio padre e ai sacrifici che ha fatto per me. Non potrei mai tradirlo, per me sarebbe un tradimento non giocare ogni partita dando il massimo”. La voce è quella di chi riassume in una sola persona un mix di esperienze, tradizioni e culture: madre inglese, padre libico, nonna scozzese e nonno tedesco, con moglie libica cresciuta in Inghilterra. “Sono cresciuto a Manchester, a scuola eravamo 30 tra inglesi, ragazzi africani, indiani. Ringrazio mia mamma che ci ha cresciuto con una cultura molto aperta”. Benali ha giocato in tutte le giovanili delle Nazionali inglesi ma ha poco di anglo-sassone. La formazione calcistica è quasi tutta italiana: dal 2012 ha messo in fila Brescia, Crotone, Pescara, Pisa, ancora Brescia e appunto Bari. “Prima di venire in Italia non avevo mai fatto una seduta tattica in vita mia – rivela – era tutta pallone, partitine, tiro in porta, uno contro uno. Il primo anno che sono arrivato in Italia ho fatto 10 presenze da subentrato perché il mio primo allenatore Calori, che oggi è un amico, mi diceva che non ero pronto per giocare: è un calcio completamente diverso. A livello tattico e tecnico qui sono cresciuto tanto”.
Manchester City, nel vivaio la sliding door. Poi il Rochdale
Nel viaggio di Benali, tra modelli da seguire (“Da ragazzino adoravo Ronaldinho, oggi mi piace prendere spunto da tanti e il mio preferito è Thiago Alcantara, straordinario per eleganza e padronanza del campo”) e il ricordo di quel primo gol in A contro il Napoli e Pepe Reina (“Avevo esordito da otto minuti, mi è venuto istintivo fargli il pallonetto e forse è stato il momento in cui ho toccato il cielo in carriera”) c’è una sliding door che spiega il prosieguo del percorso. Estate 2011: Ahmad ha 19 anni e saluta il Manchester City dopo 10 anni nel vivaio.
Lo attende il Rochdale, club di terza serie. “Al City ci trattavano benissimo: mensa di primo livello, scarpe pulite ogni giorno, palestra di primo livello. Al Rochdale era tutta un’altra storia ma lì ho iniziato a capire il calcio“. Oggi è ancora un tifoso dei Citizens: “Sono nato a un chilometro dal vecchio stadio, vedere il City in Champions e vincere la Premier è strano. Quando mi hanno preso era in C, appena retrocesso. Vederlo così in alto in 15 anni è stata un’emozione unica. L’ultima partita vista allo stadio è stata quella che ha permesso al City di vincere la Premier League 2011/12 con gol di Aguero”.
Altra storia rispetto al Benali di oggi: marito, padre e calciatore maturo. Pronto a 32 anni a scrivere un altro pezzo di storia con il Bari: “Vacanze? Spegnerò il telefono per qualche giorno e mi dedicherò alla famiglia” la sua certezza. Poi testa al futuro: “Quando penso a Bari penso alla grandezza della piazza, dei tifosi e della bellezza del calcio qui. L’anno scorso non sono stato protagonista della cavalcata fino alla finale playoff, ora sogno di arrivare in alto con questi colori e di farlo da protagonista”. Niente più notti insonni, quindi. Almeno fino alla prossima stagione.
In collaborazione con Gabriele Ragnini