Arezzo, Di Donato: “Io come Sarri, 4-2-4 e calcio spettacolo”
Dopo la storica promozione con l’Arzignano, Daniele Di Donato riparte dall’Arezzo: “Io stregato da Sarri, ma gioco col 4-2-4. Obiettivo? Vincere e divertirsi”
A CURA DI ELIA FAGGION
Sta per iniziare la stagione 2006/07. L’ Italia è in fermento dopo un’estate irripetibile: Cannavaro ha sollevato la quarta Coppa del Mondo e la Juventus per la prima volta è retrocessa in Serie B. I bianconeri non sono gli unici a cadere nella vasta rete di Calciopoli: anche l’Arezzo del presidente Piero Mancini sconterà 6 punti di penalità. La guida tecnica viene affidata a un novizio, con un solo anno di esperienza da vice a Siena: il suo nome è Antonio Conte. Viene esonerato dopo i primi risultati deludenti e sostituito da un ex bancario cresciuto tra i dilettanti: Maurizio Sarri. I loro destini torneranno a incrociarsi più tardi, a Londra.
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Neanche Sarri risolleva l’Arezzo. Mancini si riaffida a Conte, che sfiora un’insperata salvezza. Tra quei ragazzi c’è un mediano forte, audace, che osserva affascinato le tecniche dei due maestri. Si chiama Daniele Di Donato e tredici anni dopo debutta in Serie C. Ovviamente come allenatore dell’Arezzo.
“Conte era un animale da campo, ma Sarri mi ha stregato”. Li ricorda Di Donato, ex calciatore – terzo di sempre per presenze in B – e allenatore rivelazione. Un fautore del sarrismo: “Sono sempre in tuta, lavoro come Sarri sin dalle giovanili. Voglio che il risultato passi attraverso la prestazione. Starei sul campo 24 ore al giorno, alcuni mi sentono parlare di calcio da solo”.
Un lavoratore nato, come Conte, dal quale ha ereditato il temperamento e non solo: “In partita mi si “tappa la vena”. Il mio Arezzo è bello e pratico; gioco col 4-2-4”. Un modulo che Conte propose per la prima volta proprio ad Arezzo, ovviamente con Di Donato in mezzo al campo: “Ma noi siamo diversi. Per me il portiere è il primo attaccante e non si butta mai il pallone. Come in una partita al parco con gli amici: si cerca sempre un dribbling, una soluzione. Questo è il segreto per divertirsi”.
Un po’ Conte, un po’ Sarri: il “prodotto Di Donato” funziona. Basta chiedere dalle parti di Arzignano. L’anno scorso la prima storica promozione in C, con tanto di record di gol e calcio spettacolare: “Abbiamo fatto qualcosa di speciale. All’inizio ero sulla graticola ma ho creduto nei miei princìpi: nel girone di ritorno le abbiamo vinte tutte”. Anche quest’anno una partenza a rilento, ma Di Donato assicura che “Il miglior Arezzo deve ancora vedersi. È un campionato equilibrato: i playoff sono alla portata”.
La calorosa piazza, che ha accolto con entusiasmo il ritorno dell’ex centrocampista, ci spera: “La gente è stupenda, tutti mi vogliono bene e spero di ricambiare questo affetto”. Qui, due opposte stagioni da calciatore: dai playoff mancati – solo per differenza reti – alla bizzarra retrocessione “in ufficio”. “Cerco ancora rivincita per quell’ingiustizia. Quando Pieroni mi ha chiamato, non ho potuto dire di no”. Insomma, il conto col passato è ancora aperto.
Un passato ricco di imprese, come la doppia promozione col Palermo – riportato dalla C alla A dopo 32 anni – o le salvezze con l’Ascoli. Ma anche di momenti difficili come quella retrocessione ma, soprattutto, la prematura perdita della moglie Roberta. Esperienze che hanno forgiato l’uomo Daniele Di Donato, diventato adulto molto in fretta: “Ciò che ho vissuto mi ha caricato di responsabilità, non mi butto giù facilmente”. Fatalista, per coincidenze de destino: “Vinsi la B a Palermo ma venni ceduto al Siena. E alla prima giornata – era il mio debutto in A – ci trovammo da avversari al Barbera: è stata una festa, mi sarebbe dispiaciuto non esserci”.
Adesso il destino lo ha ricondotto in Toscana. Alla sua seconda avventura con la maglia dell’Arezzo, stavolta senza quegli scarpini che Maurizio Sarri pretendeva fossero neri: “Un giorno arrivò con le bombolette spray: colorò di nero le scarpe di tutti. È stata la cosa più strana che abbia mai visto”. Ma per Di Donato nessun problema, gli scarpini erano già total black. Evidentemente, all’epoca, il feeling era già nato.