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Il coraggio di crederci, Altare: “Venezia, costruiamo un sogno”

La Serie D e l’infortunio, la Serie A e la sua montagna, il legame con il ds Antonelli e Vanoli e il motto “Mola mia”: l’intervista al centrale

 “A Bergamo, la mia terra, si dice ‘Mola mia’… è il motto che mi accompagna e rappresenta da sempre. Cerco di insegnarlo ai miei compagni, anche se non so se capiscono il bergamasco”, racconta con un sorriso Giorgio Altare. Parole in cui si riassumono i tratti del suo essere. Il suo essere un ‘Gigante buono’ in cui una mentalità forte e un’anima competitiva si conciliano alla sua gentilezza e positività.
Sono qui perché ci ho creduto”. Sacrificio, lavoro, dedizione. Concetti che ripete spesso nel corso della nostra chiacchierata. Li ripete perché è nelle trame di quei valori che nasce la sua storia. I suoi occhi ora sono fissi sull’orizzonte della Laguna. “A Venezia si sta bene. L’obiettivo? La Serie A”. Pochi dubbi. Segni particolari? Una carriera partita dalla D, il segno del leone e il soprannome ‘Gigante buono’, un battibecco con Ibra, la pasticceria e la mentalità. Ah, anche la montagna, con cui condivide spirito ed essenza. Capiremo il perché.

 

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Per comprenderlo basta poco. È sufficiente ascoltarne parole e tono di voce e osservarlo in campo. Giorgio Altare e il coraggio dei sogni. Un passo alla volta, un obiettivo alla volta. “Perché senza obiettivi non si va da nessuna parte”.

 

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Volersi

Un obiettivo alla volta, concentrandosi sul presente. Questa la filosofia di Giorgio. Ed è da lì che partiamo, dal presente. Tra i canali, i colori impressionistici della Laguna e quell’incontro di culture dei passanti in Piazza San Marco. Un po’ come lo spogliatoio del Venezia: “Un bel mix internazionale. A volte parlo inglese, altre provo a insegnare un po’ di bergamasco”. In estate una trattativa lunga. Il Venezia lo ha cercato, desiderato, convinto: “Volevo tornare a essere protagonista, non essere uno dei tanti. So quanto valgo e desideravo potermi esprimere”.

Il ruolo fondamentale del ds Antonelliche mi chiamava sempre per convincermi” e di Vanoli che “è il miglior allenatore avuto”. Una città “affascinante” e un legame speciale con i tifosi: “Il nostro uomo in più. Vogliamo averli vicini. Se ci sarà bisogno, comprerò un biglietto a chi non potrà comprarselo”. E a Venezia in pochi mesi è diventato un riferimento: “Cerco di trasmettere positività ai compagni. Mi chiamano ‘Gigante buono’, mi faccio voler bene. Vedo che mi seguono e sono la mia benzina. Unione, lavoro e cura del dettaglio, il resto arriva di conseguenza”.

 

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 Costruire

Ho iniziato nel mio paese, poi sono arrivato al Milan”. Un sogno inseguito: “Ho fatto tanti sacrifici per arrivare a quello che è Giorgio Altare adesso”. Sveglia presto “e mia mamma che mi accompagnava a scuola”. Suona la campanella “e andavo agli allenamenti”. Uno il credo: “Il lavoro. Alla fine ripaga sempre”. “Al Milan ho passato bellissimi anni”. Con quella convocazione in prima squadra: “Dopo la partitella stavo sistemando la porta con altri giovani”. “Posso andare?”, la richiesta a Montella. “Ah ma non vuoi essere convocato?”. “Certo”. Un sorriso sul volto, l’emozione di San Siro vissuta il giorno dopo. La scelte di fare esperienza nei dilettanti: “Sono passato da tutte le categorie, ognuna ha riempito il mio bagaglio. In D devi avere carattere. La bravura non basta, anche perché io avevo meno qualità di altri”.

 

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Obiettivi

Nel corso di una carriera ci sono dei momenti diversi. Momenti che segnano un prima e un dopo. Per quello che ti lasciamo, per come ti segni. Come la rottura di crociato per Altare ai tempi della FeralpiSalò in C: “Non è stato semplice, ma mi ha fatto crescere dal vista mentale e caratteriale. Una volta superato, ho capito che avrei potuto farcela”. L’esperienza in C con l’Olbia la chiamata a Cagliari in A: “Ero incredulo”. Poi l’esordio contro il Venezia e la partita contro la Juventus: “Da tifoso bianconero è stato particolare dover marcare Dybala”. E quel “battibecco” con Ibrahimovic: “Me lo sono scelto piccolo (ride ndr)… A fine partita ci ho riso sopra”. Il presente a Venezia per tornare a sentirsi protagonista: “Sono convinto di poter tornare in A. Mi pongo sempre degli obiettivi, senza è inutile giocare”. Anche perché a Cagliari “ero retrocesso proprio contro il Venezia”. Ora al Penzo c’è da scrivere un finale diverso.

 

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Mola mia

Sognavo la Nazionale, ma non è mai arrivata la chiamata. Rispetto ad altri che ci andavano, sono riuscito a fare carriera. E comunque la maglia azzurra resta un mio obiettivo”. Un percorso costruito a piccoli passi, senza fretta. Il senso dell’attesa. Dalla D a dover marcare i bomber di Serie A: “Il più forte? Lautaro. Ma anche Pohjanpalo non scherza”. La passione per la pasticceria: “Alle superiori facevo l’alberghiero. Era un’alternativa nel caso in cui non ce l’avessi fatta con il calcio”. E la montagna, il suo rifugio: “Mi rilassa”. Perché in fondo, Giorgio è come i monti a lui cari. Calmo e silenzioso, figlio del lavoro e del sacrificio. Maestoso, resistente agli attacchi e sostegno per chi gli sta vicino. Spirito da leone, come il suo segno zodiacale.

Giorgio è questo. Semplice e autorevole. Un Gigante buono in cui vive il senso del leader. “Ora mancano 8 finali”. E allora Giorgio non resta che dirti “Mola mia”. Ma questo lo sai già. Ah, ultima cosa. Sono già 4 i gol quest’anno… “Da piccolo mi piaceva esultare come Toni”. “Allora magari alla prossima rete ci replichi quell’esultanza”. “Dai, va bene”. “Promesso? Promesso”.