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Kreek, tutti i segreti dell’Ajax: “Così crescono nuovi De Ligt”

La libertà di giocare, una tappa alla volta, fino alla prima squadra. Un giorno nel Futuro: il settore giovanile dell’Ajax raccontato da una vecchia conoscenza del nostro calcio

Il ragazzino riceve palla appena fuori dalla propria area. Due avversari lo inseguono, il portiere si fa vedere per il retropassaggio. Invece no: finta di corpo e via ad impostare l’azione. “Avete visto il numero 4? Sono convinto che se un difensore centrale in Italia fa questo movimento, poi lo sgridano. Troppo rischioso. Qui invece non bisogna avere paura di sbagliare. Educazione oranje. Siamo al De Toekomst, il Futuro, centro di allenamento dell’Ajax e sede della sua invidiatissima Youth Academy. Come ogni sabato, è giorno di test: dai 7 ai 18 anni, i piccoli calciatori giocano e Michel Kreek osserva.

“È solo l’inizio: sono arrivato due mesi fa e ci sono centinaia di bambini da conoscere nome per nome. Ci vuole un po’ di tempo”, spiega il nuovo coordinatore del settore giovanile biancorosso in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com. In un italiano che sorprende, perché il suo triennio da centrocampista di Serie A è lontano (83 presenze e 13 gol con Padova e Perugia, tra 1994 e 1997) e la parentesi all’Inter nello staff di De Boer è stata troppo breve. “Quest’estate ero appena rientrato dal Mondiale con la Nazionale femminile, dov’ero viceallenatore, quando l’Ajax mi ha chiamato. Ho visto subito una grande occasione per tornare a casa: sono cresciuto qui come calciatore e fino al 2012 avevo già lavorato nella dirigenza del vivaio”.


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Insieme a Kreek, oggi 48 anni, vennero fuori Bergkamp, Brian Roy, i fratelli De Boer. Prima di loro Van Basten e Cruijff. Poi Davids. Oggi De Ligt. Un’inesauribile miniera di campioni, il De Toekomst. Ma come funziona dietro le quinte? “Prima di tutto bisogna formare un grande scouting, per pescare i talenti giusti”, Kreek si siede in panchina e inizia a raccontarci dall’ABC. “Poi c’è la struttura del nostro settore giovanile, che si divide in tre gruppi: dall’U8 all’U12, dall’U13 all’U16, dall’U17 all’U19. Io mi occupo dei primi due”. Per ciascuna fascia d’età, un ingrediente fondamentale: “Ai più piccoli insegniamo le basi, avendo molta attenzione sulla tecnica. È un’età in cui i bambini sono molto aperti a ricevere i segnali che poi influiranno sul loro modo di giocare”. Step 2: La crescita fisica. Dai 13 ai 16 anni il corpo cambia e bisogna prendervi confidenza: non è facile e dunque lavoriamo tanto su questo. Anche per noi è un momento fondamentale, perché è qui che si può cominciare a intuire chi ha le carte in regola per andare lontano”.

Per ora, la tattica rimane un tema secondario. “Cominciamo a introdurla in questo periodo e naturalmente poi diventerà sempre più importante. Ma la spinta principale rimane sulla libertà di fare e di scoprire. Vedere dei ragazzi coraggiosi in campo, con la voglia di saltare l’uomo e di essere padroni del gioco, è qualcosa su cui insistiamo molto”. Nell’ultima fase dell’Academy invece la musica cambia. “Lì comincia il calcio vero, più vicino al professionismo. E dunque si lavora tanto sui sistemi di gioco e sulla mentalità. Che un giorno farà la differenza”.


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La scuola Ajax si perpetua così, all’interno di un complesso sportivo all’avanguardia eppure inconfondibilmente olandese. Gli undici campi (presto ne inaugureranno altri tre) sorgono in un sistema di isolotti e canali collegati da ponticelli in legno: nello Sportpark, lo stadio principale da 2250 posti, sta giocando l’U17. “Oggi è una selezione che fa fatica perché tanti giocano già tra i più grandi”, spiega Michel. “Sappiamo che è difficile per chi è rimasto, ma fa parte del programma”.

Su più larga scala, sembra sia toccato così anche ai ragazzi di Ten Hag: ieri rivelazione dell’ultima Champions League, oggi orfani di De Ligt e De Jong. Ma passeggiando per il De Toekomst, le uniche tracce del passato sono in bacheca. Tutto il resto è orientato al domani. Questo è il nostro ciclo di vita. L’Eredivisie non è al livello della Premier, della Serie A o della Liga. Quindi è normale che prima o poi i grandi talenti vadano a giocare nei grandi campionati. Se riusciamo a portarli nei top club come la Juve o il Barcellona, allora vuol dire che noi come Academy abbiamo fatto il nostro lavoro. E la soddisfazione è grandissima”. Affare fatto e nuove sfide. “Quando partono giocatori come Matthijs e Frenkie, dobbiamo essere pronti e dare spazio a nuovi ragazzi”. Un nuovo nome c’è già, benvenuta classe 2000: Sergino Dest, il nostro terzino destro. Dopo tanti anni nelle giovanili oggi gioca in Champions League. E gli altri li conoscerete presto”.


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Queste sono le success stories, quelle che arriviamo a conoscere noi. Il sogno di tutti, la realtà di pochi. “Fino all’Under 16 ci sono più di 200 ragazzi nella nostra Academy”, continua Kreek. Soltanto due o tre di loro arriveranno in prima squadra. Parecchi raggiungeranno comunque il professionismo. Ma purtroppo c'è anche chi finirà nelle serie minori o lascerà il calcio”. Ed è qui che il De Toekomst si rivela esperienza totale. “Un giocatore dell’Ajax non si dimostra soltanto sul campo, ma soprattutto al di fuori: è qualcosa che insegniamo ogni giorno, attraverso la scuola e tante iniziative internazionali. Quando i ragazzi lasceranno l’Academy, per noi è fondamentale che abbiano preso tutti il diploma e siano pronti a seguire anche altre strade”. Un messaggio soprattutto per chi non ce la fa: “Il nostro obiettivo è che tutti si portino dentro comunque qualcosa di memorabile e formativo. Un’esperienza fatta di tornei all’estero, di allenatori sinceramente interessati alla persona. Qui deve prevalere l’aspetto umano”.

E per questo la filosofia Ajax si può applicare anche al di là del calcio: “Si deve sbagliare. Per migliorare: se non sbagli non impari mai. Poi i nostri allenatori vengono giudicati per il loro lavoro nello sviluppo dei ragazzi, non per il risultato nel fine settimana”. Michel sorride e piano piano riaffiorano i ricordi italiani. Da voi conta solo vincere, non importa come. Vedo spesso allenatori della Primavera che vengono esonerati perché i risultati non sono sufficienti. In Olanda questo non esiste: troppo presto, troppa pressione addosso a chi gioca e a chi allena. Un’altra grande differenza è che qui diamo davvero la possibilità di entrare e crescere in prima squadra”. Kreek ha l’esempio pronto: “Quando tre anni fa ero all’Inter rimasi molto colpito da Pinamonti. Un talento grandissimo: se fosse stato un prodotto dell’Ajax, non sarebbe mai finito in un giro di prestiti”.

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La cultura della crescita e quella del risultato: arrivati nel professionismo le gerarchie si invertono. “Da centrocampista del Padova, dovevamo lottare ogni domenica per salvarci nella Serie A più difficile di sempre. E mi ricorderò ogni giorno quella voglia di vincere, di fare tutto per i tre punti. È stato bellissimo: venivo dalla Coppa UEFA vinta con l’Ajax, quindi ero chiamato a fare la differenza e ho cominciato a segnare tanti gol”. Su tutti, quello che regalò al Padova il primo successo di sempre in casa della Juventus. “Anche lì, l’obbligo della vittoria: questo è un altro aspetto importante di questo sport. In Olanda siamo molto aperti allo sviluppo, al bel gioco e all’idea di divertire il pubblico. Però ogni tanto manca quel pizzico di grinta, di cattiveria agonistica che vorrei facesse più parte del nostro movimento. Giochiamo benissimo a calcio però abbiamo vinto poco: con questo mix si arriverebbe al calcio quasi perfetto.

L’ingrediente in più che Michel è pronto a riproporre al De Toekomst, nella vita di tutti i giorni. “Ma è difficile spiegare l’Academy più di così. Io consiglio di venire qui il sabato mattina, a guardare le partite: cominciano a giocare i più piccoli e poi si va avanti fino a metà pomeriggio. Una giornata qui e capirete davvero quello che stiamo facendo. A partire dalla sgridata che non c’è a un numero 4 giovane e temerario, mentre sullo sfondo Tadic e Van De Beek raccolgono attorno a loro la famiglia Ajax prima della trasferta. È il momento delle foto, degli autografi, di sognare Donny partendo da dove aveva cominciato lui. O Frank Rijkaard. C’è anche il cervello del Milan degli olandesi, a fermare i campioni di oggi: “Scusate, mio figlio può farsi una foto con voi?” Il passato scatta, il presente si mette in posa, il futuro sorride. Straordinaria normalità, alle porte di Amsterdam.

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