Dupont: “Caso Diarra più rivoluzionario di Bosman. La FIFA non può decidere da sola il numero di partite”

L’avvocato Jean-Louis Dupont, che ha seguito il caso Diarra, ha parlato delle conseguenze della sentenza a Sky Sport
“La sentenza Diarra? Penso che sia molto più rivoluzionaria di quella di Bosman!“: parola dell’avvocato Jean-Louis Dupont, che ha seguito entrambi i casi, tra i più importanti nel mondo del calcio.
Dupont ha rilasciato un’intervista a Sky Sport a trent’anni dalla sentenza Bosman (leggi QUI la prima parte), confrontandola proprio con il caso Diarra: “Bosman era solo per il libero movimento dei giocatori, Diarra è per il libero movimento e per la libera competizione“.
L’avvocato ha spiegato perché si tratta di una sentenza rivoluzionaria: “È nata una class action che dice che tutti i giocatori, non solo quelli infortunati, hanno subìto un danno perché non potevano chiudere il loro contratto. Quando non puoi farlo, non hai lo stesso potere di trattativa. E la fondazione tedesca ‘Justice for Players’, che si occupa di questa class action, con l’aiuto dei migliori economisti del mondo in merito a questi problemi (cioè la società Compass Lexecon), ha fatto una valutazione: dal 2002 a oggi, i giocatori hanno perduto, a livello generale, l’8% del loro salario. È una grande cifra“.
“Oggi ci sono circa 10 associazioni di giocatori che la sostengono. L’obiettivo non è solo recuperare i soldi del passato, ma chiedere di creare negoziazioni per un cambiamento nella governance affinché diventi inclusiva anche a livello mondiale“.
Dupont: “Abbiamo bisogno che le vittime chiedano un indennizzo”
L’avvocato Dupont che ha seguito i due casi ha parlato dell’impatto del caso anche nell’ambito della governance del calcio: “Abbiamo bisogno che le vittime chiedano un indennizzo, in modo che in futuro non ci siano violazioni della legge della competitività, che favorisce il libero mercato in generale. E siccome non è possibile che una singola persona chieda un risarcimento ad aziende così grandi (non si parla solo di calcio), l’Unione Europea favorisce queste class action. Questo è il motivo per cui questa sentenza deve essere vista come l’occasione per un vero cambiamento nella governance del calcio. Perché per la prima volta l’idea è di dire ai garanti dello sport che se violano la legge dell’Unione Europea, c’è un prezzo da pagare“.
Dupont è poi tornato sulle conseguenze della sentenza Diarra, parlando della possibilità per i giocatori di risolvere il proprio contratto unilateralmente anche per futili motivi: “Questo è esattamente l’argomento della sentenza. Si tratta di sostenere che vada applicata la legge valida per qualunque altro lavoratore. Tutti possono risolvere il loro contratto senza giusta causa, senza un motivo in particolare. Ora, se si vuole, si potrà cambiare, anche se la Corte sostiene che per mantenere l’integrità delle competizioni sportive, la risoluzione del contratto possa avvenire solo a fine stagione. Se ci si pensa, è già un’eccezione rispetto agli altri lavori“.
“Se si può fare senza indennizzo? No, la risoluzione non è gratuita ma quantificabile nel danno reale sofferto dal club. Cosa non semplice da fare. Poniamo il caso che io sia un giocatore molto costoso, voglia risolvere il mio contratto ma tutti dicano che sarà la fine del club. Nelle partite successive, al mio posto viene schierato un giocatore della Primavera che si rivela meglio di me ma con uno stipendio 25 volte inferiore al mio. Dov’è il danno? La Corte ha detto che non può essere l’impossibilità di vendere il giocatore, perché queste trattative di calciomercato si basavano su leggi dichiarate illegali
“Sentenza Diarra? Come se ci fosse un accordo tacito per non usarla”
Sulla questione indennizzo, ha proseguito così: “Inoltre, in molti sistemi legislativi nazionali ci sono leggi che parlano di una limitazione nell’indennità a fine rapporto nel caso in cui si voglia chiudere unilateralmente il contratto. Valgono per tutti i lavoratori, ma non sono applicate ai giocatori. Finché non ci sarà un accordo collettivo, varrà sempre la legge nazionale: le parti coinvolte se ne sono rese conto e hanno reso pubblico il fatto di aver cominciato a lavorarci. L’idea è di essere pronti prima della finestra di calciomercato dell’estate 2026“.
L’avvocato ha poi parlato del fatto che non sia ancora stata utilizzata la sentenza Diarra: “Perché non è stata utilizzata? Ci sono due ragioni principali. Innanzitutto, la scorsa estate la Fifa ha adottato delle regole di transizione che risultano ancora legali per cercare di congelare il più possibile la situazione. Il secondo motivo è che al momento i club sono un po’ persi e stanno molto attenti: nessuno sembra intenzionato a incoraggiare i giocatori ad applicarla“.
“È come se ci fosse un accordo tacito a non usarla, ma può durare solo per poco tempo. Serve sia questo accordo collettivo, sia che la Uefa lo allarghi poi al resto del mondo. Tra l’altro, la sentenza Bosman nel 1995 riguardava solo i cittadini europei ma poi dopo 5 anni e dopo la pressione da parte della Commissione europea, la Fifa l’ha estesa al mondo intero. Per certi versi basta ripetere il modello, includendo di più i partner sociali. Molti giocatori, agenti e forse avvocati sportivi hanno utilizzato questo discorso per fare leva durante le trattative. Io posso portare un esempio pratico“.
“L’atleta deve avere almeno 28 giorni di ferie”
Sui prossimi cambiamenti tra calciomercato e calendari per i giocatori, l’avvocato si è espresso così: “La Uefa insieme ai partner sociali e le parti coinvolte, magari anche con la Fifa, deve trovare un accordo, perché c’è anche la pressione di una class action. Avere stabilità è nell’interesse di tutti, quindi speriamo che trovino qualcosa molto presto. Anche se sappiamo che sarà solo transitorio: può valere, ipotizziamo, tre anni, ma poi continuerà a essere rinegoziato. Questa è la vita. È come la Champions League. Quanti format ci sono stati? Il nome è sempre lo stesso ma la competizione è diversa. E qui è la stessa cosa. Facciamo qualcosa che abbia senso, poi troveremo qualcosa di meglio volta per volta. E non sono io a decidere, perché, voglio dire, ho fatto solo il mio lavoro. Le parti hanno la libertà di scegliere qualcosa che sia migliore e più equilibrato rispetto a prima. Spetta a loro. C’è ancora un caso pendente presso la Corte di Commercio di Bruxelles per FIFPRO Europe, che noi rappresentiamo, contro Fifa. Riguarda il calendario: la Fifa non può decidere unilateralmente quante partite i calciatori possono giocare in un anno“.
Ha infine concluso: “Mettendo insieme tutto quanto, secondo me in cinque anni si dovrebbe avere un sistema in cui esiste ancora una sorta di calciomercato basato su criteri oggettivi, senza sanzioni sportive, o molto limitato per il primo anno. Sarebbe un sistema fatto anche per proteggere i giocatori: basta prevedere una regola nel contratto collettivo che dica che la istituzioni si possono inventare tutte le partite del mondo, ma un calciatore può giocare solo un certo numero di minuti e avere un certo numero di presenze in un anno. L’atleta deve avere almeno 28 giorni di ferie, ma anche 35 ore di riposo settimanale e 11 ore al giorno, come gli altri. E basta. È una legge europea. Si può trovare un equilibrio? Sì, dobbiamo lavorare in quella direzione. E penso che le persone intelligenti possano farcela“.
