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Zidane, Principe e Anatrone…Zauli: “Guidolin, Vicenza e la rete contro il Chelsea. La Champions sfiorata e Cruz, vi racconto…”

La forza dell’uomo, probabilmente, è racchiusa nel non cambiare mai: inteso nell’accezione di essere sempre se stessi. Che si piaccia o no, perché chi cambia il suo modo di fare in base al contesto nel quale si trova, probabilmente, potrà risultar può simpatico, ma rimane comunque una persona ‘debole’, di quelle che devono cercare l’approvazione altrui in quanto non la trovano già in se stessi. Questione di punti di vista, se non altro lui è rimasto sempre uguale. Come da giocatore: umile, ordinato, stesso taglio di capelli. Elegante e posato, buonasera Principe. Lui è Lamberto Zauli, ora allena il Teramo. Tra amarcord e malinconia, “ma non la mia! Ora mi diverto come e più di prima, sicuramente ho la stessa adrenalina di quando giocavo”. E allora di chi? Guai a pronunciar la parola più vecchietti, essendo esso uno status più interiore che esteriore (chi lo dice che un nonno non possa comprarsi l’album delle figurine?)… “Mi capita ancora oggi quando vado negli stadi che qualcuno della mia età si avvicina e mi fa, ‘sai, io ti avevo al fantacalcio’. L’affetto della gente è la cosa più gratificante…”.

In fondo di soddisfazioni gliene ha regalate ai fantallenatori. Centrocampista nella ‘rosa virtuale’, trequartista in quella reale. Gol? Non troppi, ma di assist non son mai mancati. “Più uno vero?”. Bene, prendiamo e portiamo a casa. Viva i fantallenatori, viva gli attaccanti. ‘C’era gusto a giocare con Zauli’, suggerisce chi lo conosce bene. No, non è servil encomio ma il giusto premio di un fato (supponiamo esista e abbia siffatto nome) che sa riconoscere e apprezzare l’aurea mediocritas, l’ideale del bastare a se stessi e altri mille concetti della splendida età classica. “Merito degli attaccanti mostruosi con cui ho giocato. Da Cruz al Bologna a Toni quando ero a Palermo. Cruz stratosferico, io giocavo vicino a lui e mi ricordo una cosa nello specifico: se Zauli o chiunque altro per qualsiasi motivo fosse fuori posto, c’era lui che andava a prendere la posizione. Ma poi di un’umiltà pazzesca, il girone d’andata fece solo un gol e via con le critiche. Noi compagni di squadra lo amavamo perché lui davvero giocava per noi”. E l’epilogo, poi, vi ha dato ragione. E’ sbocciato (eccome!) quel talento argentino… “Nella seconda parte di campionato fece dodici gol e sfiorammo la Champions League. Devo dire una cosa: io non ho mai giocato in top club, ma sono stato fortunato a trovare sempre le annate migliori nelle squadre nelle quali sono andato”.

Il limbo dantesco fino a 25 anni, poi il cambio di passo. Alt, di mentalità. “Perché la fame ce l’ho sempre avuta, non riuscivo a tirarla fuori. Perché non sono arrivato prima? Me lo chiedo anche io”. Dialoghi notturni di senecana memoria. Ma non serve scavare troppo affondo, basta soltanto un incontro. Con la persona giusta, Francesco Guidolin: “Ha tirato fuori il meglio di me, gli devo tantissimo”. E la squadra giusta. Vicenza, circa vent’anni fa. Ah, se vola il tempo! C’è mica un modo per tornare indietro? Ma non per cancellare qualcosa eh, semplicemente per rivivere gioie ed emozioni. Scegline una e ci affidiamo alla divina provvidenza, forse saremo più fortunati dei protagonisti manzoniani… La mia rete nella Coppa delle Coppe contro il Chelsea di Vialli, Zola e Di Matteo. Il Vicenza, una provinciale…Nobile! Che lottava per non retrocedere in campionato e sognava in Coppa. Andavamo avanti, un sogno dietro l’altro. Poi la semifinale con il Chelsea. Alle 19 Vicenza era bloccata: maxischermo in piazza e Menti completamente pieno, trasudava entusiasmo, un’empatia rara, un grido unico: ‘Sogniamo insieme, ragazzi!’. Mi arriva palla, sbaglio stop (la mia fortuna) e segno. 1-0 Lane contro il Chelsea. Finisce così. Andiamo là e passiamo in vantaggio…In casa loro! Gli servivano tre gol – racconta Zauli ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – e purtroppo a cinque minuti dalla fine arriva la mazzata. Poco importa, quando dai tutto non esiste sconfitta. Loro erano fenomeni, noi ci allenavamo nei parcheggi. Meglio così! Perché una cosa conta più di tutte: le motivazioni”.

Un racconto affascinante, interrotto un paio di volte da un’affermazione che fa capire tanto, tutto di chi è davvero Zauli: “Ho i brividi, prendo fiato e vado avanti”. Li vediamo super eroi questi calciatori, sono uomini. “Io personalmente, anche nei momenti migliori, come quel gol al Chelsea, non mi sono mai troppo esaltato anche perché non mi rendevo nemmeno conto. Mi sembrava la normalità”. Mai un orecchino o un tatuaggio, calzettoni e maglia ben ordinata. “E soprattutto mai sentirsi al di sopra di nessuno”.

Nemmeno se ti chiami Zidane. Ah, l’importanza d’esser se stessi! Zinedine Zauli, ZZ. Onomatopea di alto livello, paragone importante… “A Vicenza, Zidane del Triveneto. Poi quando mi prese Zamparini al Palermo, disse: ‘Ho preso lo Zidane della Serie B!’ e allora è nato quest’ultimo che forse è più famoso”. Poi un altro e un altro ancora, Anatrone! Così mi chiamava Uliveri ai tempi del Modena. Sono 1,90 quindi avevo le gambe lunghe e il fisico da fenicottero”. L’importanza dell’auto-ironia, virtù rara. Ma virtù vera.

“Ho la memoria corta, non ricordo cose particolari. In generale, comunque, non mi piace ricordare stop o gol. Mi basta l’affetto della gente, che è l’unica cosa che ti rimane davvero dentro. A Palermo quando abbiamo fatto la promozione in Serie A non siamo potuti uscire dallo stadio per quanta gente ci fosse fuori. Non girava una macchina, solo tifosi che correvano e urlavano in strada dalla gioia. L’anno dopo in Serie A, c’era gente che dormiva fuori dal Barbera per fare subito l’allenamento. Questi sono i valori e le cose che restano. Se riuscirò a trasmetterle ai miei ragazzi, significa che avrò fatto un buon lavoro”. Appunto, non è cambiato Zauli. Stesse idee, stessa eleganza. Di quelle che non derivano né dall’abito firmato né dal super tatuaggio: ma dall’essere se stessi, con le proprie idee, i propri pregi e i relativi difetti. “E’ il mio settimo anno da allenatore. Voglio riportare entusiasmo in una piazza importante come Teramo. E’un’annata un po’ così, ma dobbiamo provarci. Voglio che i miei ragazzi siano persone serie e si divertano, del resto mi importa poco”.

Versi conclusivi che suonano ancor di più d’amarcord. Il sano senso del divertimento, dello stare insieme. Con ordine e serietà. L’allusione, il ricordo è a ‘quello con le gambe lunghe’, che tirava poco e cercava sempre l’ultimo passaggio. Che si spendeva per i compagni e a cui bastava uno sguardo per farsi capire. Che, infine, si è sempre accontentato di quell’aurea mediocritas che, in fondo in fondo, è forse l’essenza di ognuno di noi. Nell’essere se stessi, nel sorridere quando c’è da sorridere e nel portare sempre lo stesso taglio di capelli, a distanza di vent’anni. Principe o Zidane, che importa? Lamberto Zauli