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I libri, la fede e l’MLS, Yeboah: “Genoa? Lo rifarei. Ora conquisto l’America”

La nostra intervista all’ex attaccante del Genoa: “Ho un conto in sospeso con la Serie A, ma non ho rimpianti. Al Minnesota segno e mi trovo bene”

In MLS c’è un italiano che ha segnato 7 gol in 11 partite, uno ogni 127 minuti. Sul comodino ha un libro, “Le 38 lettere di J.D. Rockefeller a suo figlio”, e una tazzina di caffè. Suo zio è stato capocannoniere della Bundesliga e lui ha già giocato in sette nazioni diverse a soli ventiquattro anni. In futuro sogna di tornare in Italia per chiudere un conto in sospeso, segnando il suo primo gol in Serie A. Kelvin Yeboah, ex attaccante del Genoa, oggi è la stella del Minnesota United e si racconta a Gianlucadimarzio.com con una genuinità che sorprende. Tanti sorrisi e zero risposte banali: “Voglio che le persone leggano chi è davvero Kelvin, senza alcun filtro“.

 

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L’American Dream di Yeboah: “In MLS livello alto e intrattenimento”

Per entrare nel suo mondo dobbiamo partire proprio dall’America. Yeboah è arrivato in estate dopo due anni in giro per l’Europa (prima in Germania con l’Augsburg, poi in Francia con il Montpellier, infine in Belgio con lo Standard Liegi) e ha ritrovato il piacere del gol con una doppietta all’esordio: “L’impatto è stato ottimo. Qui i giocatori sono più liberi dalla tattica, il livello è alto, le infrastrutture perfette e il campionato è imprevedibile: è l’American Dream, tutti hanno il diritto di sognare e anche una big come l’Inter Miami di Messi e Suarez può essere battuta al primo turno dei play-off. E poi calcio è intrattenimento: lo show comincia già dalla scelta degli outfit pre-partita e io, da italiano, me la cavo bene”. Una nota dolente? “Il cibo… ma fortunatamente ho trovato un negozio di prodotti italiani”.

Il Genoa, tre allenatori e “una traversa che trema ancora”

Il ricordo di casa si fa sentire, specie per uno come lui che l’Italia l’ha lasciata a diciassette anni e l’ha riassaporata solo a ventuno, prima di partire di nuovo. Nel 2017 è volato al West Ham e poi è diventato protagonista in Austria: 14 gol in sei mesi con lo Sturm Graz. La chiamata della Serie A è stata naturale: nel gennaio 2022 ha firmato per il Genoa con l’obiettivo di inseguire la salvezza, mai raggiunta. “Sono stati mesi complicati, ma non ho rimpianti: lo rifarei. I tifosi del Genoa sono fantastici e ho imparato tanto: è nei momenti difficili che migliori, quando la palla non entra neanche se la spingi con le mani. Mi ha aiutato mio zio Anthony, che è stato un grande attaccante in Bundesliga e in Premier. E al Genoa ho interiorizzato una lezione che oggi è il mio mantra: the obstacle is the way, l’ostacolo è la via. Significa non fuggire dalle responsabilità e dare sempre il massimo. Il resto lo lascio nelle mani di Dio”.

 

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Kelvin è un libro aperto. Torneremo presto sulla sua fede in Dio: prima dobbiamo chiudere il capitolo Genoa. Tre allenatori nelle sue prime tre partite in rossoblù e un mercato di gennaio con acquisti da ogni parte del mondo, dall’islandese Gudmundsson al messicano Vasquez. “La società aveva scelto di prendere due attaccanti: io e Piatek. Alla fine però sono arrivato solo io e, a ventun anni, mi sono caricato tutta la responsabilità sulle spalle. Ero in un buon momento, segnavo pure in Europa League e il progetto di Spors e Shevchenko mi aveva convinto”. Il numero di maglia? “Il 45, per Balotelli: mi aveva scritto un messaggio di buona fortuna. Ora è lui a indossare proprio quella maglia e io ho ricambiato: gli ho detto di farci divertire”.

Il viaggio rossoblù di Kelvin, dicevamo, parte da Sheva: “Ho esordito con lui in panchina, in Coppa Italia a San Siro contro il Milan: un sogno. Ma dopo quella partita l’hanno esonerato, è arrivato Konko ad interim e al mio debutto in Serie A abbiamo perso 6-0 contro la Fiorentina”. Via pure lui, al suo posto Blessin: “Ero arrivato al Genoa per fare la punta ma lui mi ha spostato in fascia. E la comunicazione era complicata: l’allenatore era tedesco e il traduttore non traduceva dall’inglese. Quindi a ogni esercizio, Blessin spiegava in tedesco, il traduttore ripeteva in italiano e poi, per chi non capiva né una né l’altra lingua, Blessin lo rispiegava in inglese”. Più che la lanterna di Genova sembrava… la torre di Babele. “In campo comunque ci capivamo: abbiamo lottato fino alla fine ma non siamo riusciti a salvarci”. Galeotta fu… la traversa del Maradona: “Contro il Napoli ho preso una traversa che sta ancora tremando: poteva cambiare la nostra storia e pure la mia, sarebbe stato il primo gol in Serie A. E invece quel conto resta aperto: “Ma un giorno tornerò in Italia per chiuderlo”. 

“All glory to God”

 

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Kelvin ha girato mezzo mondo con il pallone tra i piedi. L’ultimo capitolo del nostro viaggio, però, va più a fondo: nell’anima. “Credo in Dio: se oggi sono acclamato dai tifosi è grazie al talento che Lui mi ha dato. Per non dimenticarlo mai, in campo indosso due polsini con scritto “All glory to God”. Il mio passo preferito della Bibbia? Salmi, 56:3: ‘Nei giorni di paura, io confido in te’”. Di Kelvin resta impresso questo: la maturità delle sue riflessioni. A confermarlo, un altro esempio: “Leggo molto, soprattutto libri di crescita personale. L’ultimo? “Le 38 lettere di J.D. Rockefeller a suo figlio”. Mi ispira una frase in particolare: ‘Non aver paura di rinunciare al buono per inseguire il grande’”. La sua storia, in effetti, sta tutta qui: dal Ghana all’Italia a due anni, dall’Italia all’Inghilterra a diciassette. Ora l’America: sempre inseguendo lo stesso, grande sogno. Non potrebbe esserci chiusura migliore.