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Ventura: “Sono passate cinque generazioni di allenatori, ma io sono ancora qui. Spagna? Sono fiducioso”

Tanta gavetta prima di arrivare alla panchina più ambita, quella della Nazionale. Gian Piero Ventura si racconta sulle colonne della nuova edizione di “Sette”, settimanale del Corriere della Sera. Si inizia parlando del Bari, piazza a cui resta molto legato: “Lasciai perché successero cose che non avevano a che fare con lo sport. Andai via tre mesi prima che la verità venisse a galla. Sono stato l’unico allenatore della storia del Bari a lasciare lo stipendio alla società. Calcioscommesse? Avevo capito che non c’era chiarezza…”.

Come è Ventura invece fuori dal campo? “Ho avuto una vita, come posso dire… ‘viva’. Però, devo essere sincero, da quando ho conosciuto mia moglie, cioè negli ultimi otto anni, la mia esistenza è cambiata radicalmente e in meglio. Ho il piacere e la gioia di alzarmi al mattino, il piacere e la gioia di ritornare a casa, il piacere e la gioia di incontrare un sorriso. Come si suol dire, ho messo la testa a posto”. C’è spazio anche per i ricordi: Ai tempi ballavo, ma solo per conoscere le ragazze. Ero un buon centrocampista, ma ci si allenava poco e per giunta facevo una vita… sregolata, a volte tiravo tardi. Ho sbagliato diverse cose. Non ho trovato un Ventura, uno che ti dicesse: ‘guarda che stai facendo un errore. La cosa di cui vado più fiero è che sono passate almeno cinque generazioni di allenatori, li ho affrontati tutti e sono ancora qui a parlare di calcio. Il mio segreto? La voglia di mettermi in discussione sia come uomo, sia come allenatore, soprattutto, dal punto di vista tattico”.

Adesso nel presente e nel futuro c’è la Nazionale: “Uno deve rimanere sempre se stesso. Anche se quando sei c.t. della Nazionale ogni parola può essere vivisezionata. Ogni tua riflessione rischia di essere interpretata male, una battuta ironica, poi, può creare fraintendimenti. Spagna? Ci penso poco. Prima viene l’amichevole importante con l’Uruguay. Poi arriverà la Spagna. Sono fiducioso”.