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Una società… ‘Made in Brianza’! Il presidente Nicola Colombo racconta il suo Monza: “L’Athletic Bilbao è il nostro modello. Tre anni fa una scelta d’amore…”

‘Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi’ (Cesare Pavese). Sensazioni di indescrivibile adrenalina. Di straordinaria felicità. Durano poco, troppo poco. Ma è nella fugacità la loro intrinseca bellezza. L’attimo! Unico stipite granitico dinanzi al tempo divoratore. L’attimo ferma, blocca; tu stesso vorresti bloccarlo. Vorresti imprigionarlo dentro di te e farlo durare per sempre. Poi, però, arriva il tempo. Che non guarda, non osserva, non ragiona: passa.

L’attimo estrinseca la dimensione più sincera delle nostre azioni. Riemerge, magari quando meno ce lo aspettiamo e ci induce, istintivamente, a compiere un gesto a prescindere da un ipotetico tornaconto. ‘Sarei pronto a fare di tutto pur di riviver quell’attimo…’. No, non è letteratura: è vita. Io quell’attimo fuggente lo vivevo ogni domenica pomeriggio, al Sada (il vecchio stadio del Monza). Ero piccolo, meno di dieci anni, ma quello spettacolo per me era così intenso di emozioni che me le ricordo tutte come fosse passato appena un mese…”. Pensieri e parole di Nicola Colombo, presidente del Monza (settimo nel girone A di Serie C con quarantadue punti, pienissima zona playoff).

Erano gli anni ’70. ‘Un altro mondo’, si potrebbe asserire con voce anche un po’ critica verso questo mondo di oggi dove il ricordo svanisce (a meno che non adeguatamente spettacolarizzato tramite deprecabili reality show) e dove l’attimo è la ‘litigata del secolo’ tra presunti gotha della “pluristimata” arte dell’urlare almeno un decibel in più dell’altro. L’attimo…che ritorna! Tre anni fa, in una afosa giornata di luglio. Nell’aula di un tribunale, nel triste de profundis cui, malgrado la sempre più costante frequenza, non si fa mai a meno (e menomale) di abituarci… Era il luglio del 2015 quando ho deciso di salvare questa società. In tribunale, stando alle parole che avevo sentito e letto, ci sarebbe dovuta essere la fila, invece mi sono ritrovato da solo. Poco importa, l’ho fatto e lo rifarei con il cuore. Senza secondi fini, per amore di quegli attimi che vivevo la domenica pomeriggio e che avevano creato un legame sincero con questi colori, null’altro. E poi il calcio è sempre stato parte fondamentale della mia vita e della mia famiglia. Mio papà Felice – racconta Nicola Colombo ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com è stato prima dirigente del Monza e poi a cavallo degli anni ’80 presidente del Milan”.

Corsi e ricorsi. Il destino. Il calcio quale quintessenza di una domenica che per la famiglia Colombo non sarebbe potuta essere diversa dal solito minimo comune denominatore: il pallone. “E ogni sabato mattina a Milanello con papà. Avevo 11 anni, vedevo passare Baresi e Rivera e mi si illuminavano gli occhi. Quando penso alla mia infanzia mi vengono in mente soprattutto questi attimi. Emozioni indescrivibili, davvero”. Il Milan di Felice Colombo: la prima stella (il decimo scudetto) e poi la triste parentesi delle scommesse“Da lì si è disinnamorato del calcio. Vederlo da due anni e mezzo a questa parte allo stadio, a tifare come quarant’anni fa, è l’emozione più bella. Più di qualsiasi vittoria…”.

Come quarant’anni fa, appunto. Nella scia di un attimo che perpetua se stesso e affiora solenne nelle parole sincere del presidente Nicola Colombo. Brianzolo di generazione…e cultura! Gente pragmatica, caparbia, industriosa. Ma anche sobria e accogliente. Lineare, in perfetta simmetria a quella retta parallela che coniuga ambizione e solidità. “Cerchiamo di ponderare tutto e di stare attenti ai costi. E’ chiaro che una piazza come questa meriti la Serie B, ma vogliamo arrivarci con le nostre risorse e con la nostra linea valoriale. Non ha senso fare follie, soprattutto nel mondo di oggi…”.

‘100 % Made in Brianza’. Non è un (a)valoriale slogan televisivo. E’ cosa ben diversa. E’ il motto, fortemente valoriale, di una società – non solo comunicativamente – improntata ad una ben definita declinazione territoriale. “Voglio un Monza gestito prima di tutto da monzesi”. La prima dichiarazione ufficiale del presidente Colombo nel luglio 2015. Che poi per un periodo… “Una piccola percentuale societaria era nelle mani di un comitato di tifosi, una sorta di azionariato popolare se vogliamo. Ma poi hanno bisticciato tra loro e abbiamo rilevato le quote”.

Il modello, però, è rimasto sempre lo stesso. Chiaro, laconico, teleologico. Modello Athletic Bilbao! Nel rifondare la società avevo coniato questo motto… ‘Made in Brianza’ proprio per dare la precedenza nell’assunzione di staff, manager e anche giocatori a persone nate in loco e che soprattutto conoscessero pedissequamente la realtà. Il nostro settore giovanile si struttura, nella sua totalità, di ragazzi brianzoli. La prima squadra, invece, è composta per un buon 70 – 80 % da giocatori lombardi. L’attaccamento territoriale e, di conseguenza, alla maglia credo sia un aspetto di prim’ordine nella costituzione di una società vincente. Oltre al fatto che qui, nella zona tra Milano, Monza e Bergamo abbiamo una popolazione che per densità è terza in tutta Europa”.

Idee ben chiare, obiettivi concreti, valori tralatizi. Un legame territoriale che, dunque, va oltre i ‘soliti’ (e spesso riduttivi) aspetti di marketing e comunicazione. Un legame sincero e diacronico. Bello e (fortunatamente) anacronistico nell’epoca della tanto lodata globalizzazione dove ci si illude vanamente di poter abbattere qualsiasi vincolo territoriale e tradizionale in nome di nuovi aspetti (economici) essenzialmente etero-imposti e lontani anni luce dalla dimensione – delle nostre radici – propria di ognuno di noi.

Passa primariamente da questa riscoperta valoriale, il lavoro con i bagaj del settore giovanile. Molti di loro, non a caso, non sognano di giocare a Wembley o al Bernabeu. Lottano per una domenica sul prato del Brianteo, vessillo aureo di una tradizione calcistica che trasuda storia vera. Lottano per vivere quell’attimo che circa cinquant’anni fa ha incantato e incanta ancora oggi il presidente Nicola Colombo…