Trapani, Petkovic: “Vorrei diventare un idolo per i bambini, per un calciatore il loro sorriso è una grande vittoria”
Un elegante pallonetto in verticale a servire ed un passaggio filtrante per lanciare Torregrossa ic campo aperto. Sul tabellino di Perugia-Trapani non c’è il nome di Bruno Petkovic, protagonista però con grandi giocate di questa vittoria di Serse Cosmi nel giorno del suo ritorno al Curi. Due assist decisivi, il modo migliore per presentarsi alla sua prima da titolare. “Sono molto contento – ha raccontato Petkovic a GianlucaDiMarzio.com – soprattutto perché queste due giocate ci hanno permesso di vincere una gara difficile. Il Perugia è una squadra importante, se poi Ardemagni fosse stato più preciso non so come sarebbe andata a finire. Nel secondo tempo, però, siamo stati intelligenti nel gestire i loro attacchi sfruttando gli spazi che ci hanno lasciato dietro. Una vittoria importante per noi e per Cosmi, che in quello stadio ha fatto grandi cose”. Certo, per un attaccante la soddisfazione più grande è fare gol ma… “non sono un attaccante egoista, se un compagno si smarca con un bel movimento sono contento di premiarlo con un assist. Fare gol è bello, soprattutto se permette alla squadra di vincere. Ma alla fine l’umore di un calciatore dipende dal risultato finale, quindi meglio fare un assist vincente piuttosto che un gol in una sconfitta”.
Un impatto importante, insomma, in un ambiente che gli ha subito mostrato fiducia. “Sì, l’ho avvertita sin da quando il direttore sportivo Faggiano mi ha chiamato per portarmi a Trapani. Avevo altre richieste dall’estero o dalla Lega Pro, volevo trasferirmi perché all’Entella avevo poco spazio ed ero scontento. Ho capito subito che Trapani era per me la scelta migliore. Amo giocare al sud, qui si vive un calcio diverso: ogni città vive per il calcio, al nord invece c’è un tifo più freddo. Sono un calciatore a cui piace giocare sottopressione, quando una partita vale tanto mi esalto”.
Chissà che con queste giocate non abbia già conquistato Trapani. E’ un tipo ambizioso Petkovic, ma non egoista. Lui a calcio gioca per sé stesso ma anche, e soprattutto, per gli altri. “Vorrei essere un esempio per i giovani, soprattutto per quello che ho visto a Catania. C’erano tanti bambini felici per il semplice fatto di incontrare Gomez o Barrientos, questa credo sia una cosa che non abbia prezzo. Un giorno, quindi, vorrei essere un grande calciatore per migliorare il mondo, per far sì che questi bambini siano contenti per un mio autografo. Se rendi una persona felice, anche con un semplice gesto, ti senti molto bene. Nella vita la bellezza delle piccole cose fa la differenza”.
Il suo percorso lo ha condotto a Trapani. Il destino, evidentemente, vuole che Petkovic giochi in Sicilia. A portarlo in Italia è stato il Catania, tutt’ora società proprietaria del suo cartellino. “Sono arrivato nell’anno del record di punti – prosegue Petkovic – In quella stagione feci il mio esordio in Serie A e giocai la finale Primavera. Quando arrivi a certi livelli ti aspetti sempre il meglio, però ora mi trovo in Serie B e sto lottando per risalire. Nella stagione successiva ho vissuto la retrocessione sulla mia pelle. E’ stato brutto perché, come dicevo prima, l’umore di un calciatore dipende dai risultati di una squadra e quando tutto va male anche tu non sei felice. Poi Catania è una piazza importante, mi dispiace sia scesa in due anni in Lega Pro dopo aver toccato il cielo”. Petkovic esordì con Maran, in quel Catania del ‘Papu’ Gomez, di Bergessio e del ‘Pitu’ Barrientos: “Che calciatori, fortissimi! Mi hanno aiutato tanto, dandomi parecchi consigli visto che avevo il loro stesso ruolo. Con Maran avevo un gran feeling, ha visto in me delle qualità e si è fidato facendomi esordire. Poi c’erano grandi calciatori come Legrottaglie e Capuano, che essendo giovane mi hanno un po’ adottato nello spogliatoio spiegandomi tante cose”.
Trapani è la sua occasione di rilancio, in una vita dedicata al calcio. “Ho sempre fatto questo, sin da bambino. Pensate che quando ero ragazzo andavo prima a giocare con i miei amici, poi andavo ad allenarmi e dopo l’allenamento tornavo a giocare a calcio per strada. La cosa bella è che faccio quello che mi piace più di ogni altra cosa al mondo, tra l’altro mi paga per la vita. Oltre questo, il calcio mi ha aiutato tanto a crescere. A 12 anni andai alla Dinamo Zagabria, già a quei tempi iniziai ad allontanarmi dalla famiglia e questo mi ha fatto maturare tanto”. Un amore infinito, insomma. Perché, per Petkovic, giocare una partita di calcio è mille volte meglio che guardarla. “Non sono un calciatore che guarda tante partite, lo faccio solo se m’interessano. La mia squadra del cuore? Il Real Madrid. Me ne innamorai perché ci giocava Ronaldo, il “fenomeno”. Era il più forte di tutti, ma non è il mio idolo. Semplicemente perché non ho un idolo, voglio fare un tipo di calcio che sia mio. Alcuni mi paragonano ad Ibra ma io non m’ispiro a nessuno, voglio crescere per quello che sono”.
Diventare grande, per lasciare il segno e… regalare un sorriso ai bambini! Il piccolo, grande sogno di Bruno Petkovic: un ragazzo semplice, partito dalla Croazia con la Sicilia nel destino.