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Traghettatore? No, grazie. Si riparte da Di Biagio, neo CT della “sua” giovane Italia

Dalla Nazionale B alla Nazionale A. Ma non si tratta solo di un salto di categoria. Bardi, Biraghi, Bianchetti, Benassi, Baselli, Battocchio, Belotti, Berardi, Bernardeschi, sono i ragazzi che Gigi Di B(iagio) ha portato con sé in due bienni di Under 21. Due europei vissuti tra biscotti (l’1-1 tra Portogallo e Svezia ci fece fuori in Repubblica Ceca nel 2015) e notti insonni (i Tweet di Donnarumma alla vigilia della semifinale con la Spagna in Polonia nel 2017). Ma non solo, perché la sua Italia è stata quella del gioco offensivo, dei tanti gol e delle tante scommesse.

Da Belotti a Trotta, attaccanti che dalla periferia sono approdati in serie A dopo il passaggio con l’Under di Di Biagio, a Berardi e Bernardeschi, le ali intoccabili del suo tridente. Perché il marchio di fabbrica del nuovo ct della Nazionale è la trazione anteriore. Che sia 4-4-2 o 4-3-3 non fa nessuna differenza. In due bienni ha saputo far volare i terzini (Zappacosta preso nell’Avellino e lasciato nel Chelsea) ma anche far diventare bomber le mezzali (Benassi e Pellegrini sono la cartina al tornasole del suo lavoro). Giocatori diventati grandi con l’azzurro tatuato addosso. Perché la sua è sempre stata un’Italia aggressiva. Fatta da gente che si butta dentro a caccia del gol. Il ct ha sempre difeso le sue idee, senza fare retromarcia. Confermando i suoi fedelissimi andando anche contro il furor di popolo. Come Bernardeschi che nel 2015 veniva da un infortunio che lo aveva tenuto fuori per mezzo campionato, ma lo portò ugualmente in Repubblica Ceca per riconoscenza. Perché i valori vengono prima di tutto. Un merito che gli va riconosciuto.

Di Biagio è un ct al quale piace anche stupire, e stravolgere all’ultimo minuto. Come in Polonia, quando alla vigilia della sfida con la Repubblica Ceca di Schick decise di cambiare modulo e uomini rispetto all’esordio vincente contro la Danimarca. Gli andò male, ma senza compromettere il passaggio del girone. Nell’arco della sua gestione ha vinto praticamente sempre. Gli unici ko sono stati i più dolorosi (nel 2015 con la Svezia e i due del 2017 con Repubblica Ceca e Spagna). Ma la storia gli ha dato ragione: quella Svezia ha vinto poi l’Europeo, mentre la Spagna è stata battuta in finale solo dalla Germania.

Chi lo conosce sa bene che non vivrà questo incarico come un traghettatore. Porterà le sue idee, e darà fiducia ai suoi uomini. Chiesa, Pellegrini, Bernardeschi, Berardi, Rugani e Romagnoli: la sua Italia si fonderà anche su di loro. La forza dei giovani. I ragazzi che come lui sono partiti dalla Nazionale B. Un ruolo da CT che merita, non un ripiego per mancanza di alternative. Di Biagio doveva avere la sua chance in Nazionale. Ora giocherà le due amichevoli azzurre prima dell’estate, con il sogno (non troppo nascosto) di rimanere al timone per il prossimo quadriennio. Per troppi anni non si è progettato, dando sempre priorità al risultato nella grande competizione. Il che ha portato negli ultimi tre Mondiali, a due uscite al primo turno e una qualificazione mancata. L’ora del cambiamento è arrivata. Riscoprendo anche l’importanza dell’allenatore federale, una figura cardine attorno alla quale costruire un progetto tecnico sul medio lungo periodo. Un punto sul quale Di Biagio si è sempre battuto: “Sono anni che lo dico. Io mi occupo delle Nazionali dall’Under 15 all’Under 21 e cerco di lavorare con i giovani nel migliore dei modi”. Ora finalmente è arrivato il grande salto. Lo attende la Nazionale A, il punto di arrivo. Suo e dei suoi ragazzi.