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Spalletti, Di Caprio e la sindrome da Oscar: Roma, è vera svolta?

Smoking scuro, da gran galà. Martini, sorrisone e nomination. L’ennesima. Oscar, ci siamo? Forse, forse no. Leo lo insegue da tempo. Un po’ come la Roma rincorre lo Scudetto. Quasi ogni anno tra i favoriti. Poi, però, tutto fumo e niente arrosto. Di Caprio e la Roma, la Roma e Di Caprio. Tanti aspetti in comune, tanti successi. Alcuni dei quali sfiorati al fotofinish. Ah, che delusione Blood Diamond. Idem lo Scudetto giallorosso. Ah, Pazzini traditore. Senza contare Ibra al fotofinish e la grande Juve degli ultimi anni.

Tevez come Forest Withtaker, Pirlo come Jamie Foxx. Incroci, ossesione da Oscar e Scudetti. Quest’anno, chissà. Entrambi hanno buone chance. Di Caprio se la giocherà stanotte. I giallorossi, invece, risalgono la china zitti zitti aspettando il verdetto finale. Sei vittorie di fila, miglior attacco, rimonta in grande stile dopo il buio di Garcia. Il tutto mentre Leo trionfava ai Bafta e al Golden Globe con The Revenant. Roma al terzo posto a -8 dalla Juve, sudore e sacrificio. E se Spalletti fosse arrivato prima? Ricordi inversi di quando arrivò Ranieri al posto suo, nel 2009 Scudetto sfiorato anche lì. Ora sul podio. Ok, non ha incontrato squadroni, ma le vittorie contano lo stesso. Step by step, si risale.

Merito del nuovo regista: Luciano Spalletti, detto “Lucianone”. Arrivato quatto quatto, nel giro di un mese ha rivoluzionato l’intera squadra: staff, motivazioni, modulo, allenamenti. Umiltà e attributi. Perché se Garcia sbandierava ai quattro venti che “avrebbe vinto il titolo”, Spalletti predica calma mantenendo la concentrazione: “Scudetto? Non esageriamo”. Mentalità. Infine il caso-Totti, col capitano messo da parte per la prima volta in carriera. Bandiera ammainata. Metaforicamente parlando, ovvio. Intransigente, Luciano. Fino “a ‘na certa”. Perché l’ex Empoli ha dimostrato di sapersi adattare. 4-2-3-1? Non sempre, spazio anche al tridente lì davanti o alla difesa a 3, a seconda delle esigenze. Come Di Caprio, attore camaleontico.

Azzardiamo paragoni, diamo un volto alla nuova Roma. Anzi, un film. Pjanic? Beh, Inception. Perché la trama è geniale, ma complessa. Punizione delle sue, palla che passa e boh: “ma questo che ha fatto?”. A pellicola conclusa resti ancora lì, dubbioso. Mistero. Invece Salah? Facile, Prova a Prendermi. Statuetta a chi ci riesce. Dzeko alla Blood Diamond invece. Cerca il gol, non i diamanti. Entrambi preziosi. Mentre Perotti è il Grande Gatsby. Elegante, criptico, speciale.

Totti, infine potrebbe essere il Titanic. Non solo per il declino, bensì per l’illusione che possa ancora veleggiare nell’Oceano, intatto e come un tempo. Menzione speciale per El Shaarawy, tornato faraone grazie alla cura Spalletti (4 gol in 5 partite). Scaricato da Milan e Monaco, oggi si gode la sua rivincita. The Departed. Ognuno ha la sua interpretazione, va così. Roma, dove puoi arrivare? Difficile dirlo, l’attendono diverse prove di maturità. L’obiettivo è la Champions, poi chissà. Niente sindrome da Oscar, nessuna ossesione. Solo lavoro. Il sogno-Scudetto resta vivo.