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“Solitario nella fascia va, se lo incontri gran paura fa… Nel suo volto ha una maschera: Mario Mandzukic”

Solitario nella fascia va, se lo incontri gran paura fa, nel suo volto ha una maschera… Mario. Mandzukic. Mister #NoGood. Il supereroe che la Juventus meritava e (anche) di cui aveva bisogno, per proseguire con le citazioni cinematografiche. La punta che divenne ala. L’ala che si fece terzino. Il terzino che si mise anche a segnare gol. Se c’è un simbolo poco convenzionale che può rappresentare l’annata dei bianconeri fino ad ora, quel simbolo è proprio l’atipico croato. Che atipico lo è diventato da poco tempo, perché fino a qualche mese fa era una semplice punta, cattiva sì, abituata al gol ma nemmeno così tanto, che quando c’era da ripiegare in difesa lo faceva più che volentieri. Ma non per ruolo, per attitudine. Adesso no, adesso Mandzukic è davvero un giocatore a tutto campo. Così, ieri col Genoa, nel giro di 20 secondi te lo ritrovi ai vertici della propria area di rigore a sradicare un pallone neanche fosse Paolo Montero, per poi riavviare l’azione. Poi eccolo ricevere nella metà campo avversaria, arrivare sul fondo e mettere un cross, beneficiare di una ribattuta e, di prima intenzione, insaccare nell’angolo lontano. Di interno destro, che chiudendo gli occhi sarebbe potuto sembrare anche un gol di Dybala.

Invece è un gol di Mario Mandzukic. Che non segna molto e nemmeno ride molto. Ma ieri si è concesso un’esultanza rabbiosa, abbracci e sorrisi. Spiegando il perché, l’indomani, con un tweet che lascia poco all’immaginazione: “Cerco di giocare per la Juve con la stessa passione che i tifosi mostrano supportando la squadra. Questo rende momenti come questi così speciali per me”. Per una volta anche lui ha tolto la maschera da duro e ha aperto uno spiraglio: no, non è un robot, ha un cuore anche lui. Forse di pietra o di ghiaccio, ma ce l’ha. Sono 8 i gol in stagione, ma mai come nel suo caso il dato è relativo: da quando Allegri ha avuto l’intuizione magica e si è reinventato questo modulo, Mario è diventato imprescindibile. Non tanto per i gol, appunto, che forse nemmeno a lui interessano tanto: “E’ meglio vincere le partite che contare i propri gol”, disse qualche mese fa. Anche se poi Allegri confessò che quando il gol mancava per troppe partite, #NoGood si intristiva e diventava #ReallyNoGood. Quanto per il lavoro sporco, i recuperi, il pressing, gli intercetti, la presenza. Ma anche gli assist, le finezze, l’intesa con i compagni: è così che è stato e si è reinventato a 30 anni. Lui che è scappato dalla guerra che colpiva la vicina Bosnia con la famiglia nel 1992, per trasferirsi in Germania. Figuarsi se ha paura della “novità”, del cambiamento, di fare qualcosa di “stra-ordinario” in campo.

Una sentenza, il croato con la maglia n.17: la Juventus ha sempre vinto, in tutte le partite di ogni competizione (20), quando ha segnato lui (21 gol). Una benedizione. E nel mese che manca alla fine delle stagione, di partite importanti con le quali alimentare questa statistica ce ne saranno eccome. Ma se non dovesse accadere, non sarebbe certo sminuito quello che Mandzukic è oggi per la Juventus. Chiedere ad Allegri e a Barzagli, ieri nel post Juve-Genoa: “Fa delle cose straordinarie a livello fisico e a livello tecnico”. “Si fa veramente in due, in questo momento ci sta dando tanto anche a livello emotivo in campo”. Forse non è così sbagliato pensare che la differenza tra una squadra forte e una squadra vincente sta proprio nell’avere a disposizione uomini così. “Soldati”, “gladiatori”, “supereroi”… Le definizioni si sprecherebbero. Ma, se un po’ abbiamo capito Mandzukic, a lui non interessano molto.

C’è l’ultimo chilometro da compiere, per lui e per la Juventus. Quello più importante, durante il quale si raccolgono i frutti seminati durante l’annata. Un’annata che nella sostanza sta procedendo come la Juve aveva voluto e sperato, nella forma invece è stata diversa: fatta di cambiamenti, qualche caduta e subito dopo, ogni volta, una reazione forte. Non è proprio il tipo che resta al tappeto, Mario Mandzukic. Una stagione fatta di dettagli e cose rare. Come un attaccante, che si fece ala e divenne terzino, all’occorrenza centrocampista ma anche rifinitore, durante una partita pronto a respingere anche due tiri sostituendosi a Buffon, come accaduto a Barcellona quando il n.1 aveva lasciato sguarnita la porta. Onnipresente. Ora è tempo di rimettersi la maschera da #NoGood. Nessuna Gotham da salvare, nessun male da sconfiggere. Altre partite da vincere, sì. Per arrivare in cima… Poi forse scopriremo la sua vera identità, anche se qualche sospetto, come nei fumetti, lo si ha sempre. Non è un sospetto ma una certezza invece che anche senza quell’aura di cattiveria (sportiva), lui continuerebbe a suscitare la stessa empatia.