Sognando la Serie A… “Una speranza per 12 anni poi restai solo”
Sognando la Serie A è una rubrica sul mondo del calcio giovanile. Storie vissute (e scritte) in prima persona, tra ricordi, sogni e realtà.
Il calcio come ogni sport a livello giovanile è diviso in categorie, che ti accompagnano per tutto il tuo percorso sportivo e di crescita.
Io ho iniziato a nove anni, ma era la mia passione da sempre. Mi ricordo che i miei genitori non volevano, fui io un’estate a supplicarli di iscrivermi in una qualsiasi squadra.
Così a settembre di quello stesso anno iniziò la mia “carriera” nella squadra dilettante vicino casa, anche se ero talmente eccitato che non sarebbe sbagliato dire che iniziò tutto quel paio di mesi prima al cospetto del mare.
Quando ho iniziato ero un bambino timido e insicuro, e quello di diventare un professionista era un sogno a cui non badavo più di tanto.
Mi viene da ridere se ripenso che ai tempi sognavo e speravo un giorno di giocare nella juniores della mia squadra.
Spesso giocavano prima di noi e dalla mia prospettiva l’agonismo e il tifo che c’era alle partite era la cosa più simile al calcio che vedevo in televisione.
Eppure le categorie del calcio giovanile erano (e sono) tante; sono tantissimi gradini che ti accompagnano in tutte le fasi dell’adolescenza e a pensarci a posteriori probabilmente dovrebbero aiutarti a capire anche solo visivamente quanto è lunga e dura la scalata.
Il problema è che nessuno ti dice quante illusioni nasconde ogni categoria, quanto possano cambiare le cose a distanza di poco tempo.
Nessuno ti dice quanto alcuni gradini siano decisamente più alti di altri, ma soprattutto nessuno ti dice che ci sono categorie decisamente più importanti di altre.
“300.000 bambini come te iniziano ogni anno e meno dell’1% arrivano in Serie A!”, questa è la frase che mi ripetevano i miei praticamente tutti giorni.
A loro non piaceva l’atteggiamento e le pressioni esercitate dagli altri genitori nell’ambiente e volevano che io mi godessi il momento.
Sognare sì, ma senza aspettative particolari.
Come detto, ho iniziato a giocare a 9 anni, categoria Esordienti, la squadra vicino casa.
Non mi sentivo particolarmente portato, mi ricordo che ero anche preso in giro da alcuni bambini per queste mie insicurezze, ma giocare a calcio era la cosa che più mi piaceva della settimana ed il resto mi importava ben poco.
Ero felice.
Le categorie del calcio giovanile le dividerei in quattro fasi distinte: dai Primi calci agli Esordienti; il triennio Giovanissimi; il biennio Allievi; la Primavera.
Dall’ultimo anno di Esordienti in poi esistono le cosiddette categorie d’élite: per spiegarlo in breve, è come se ogni categoria avesse la sua Serie A.
Ed è importante riuscire sempre a stare in uno di questi campionati, non perché effettivamente contino qualcosa ma semplicemente perché è più facile farsi notare.
Considerando che le squadre e i campionati sono tanti, è indubbiamente più facile che osservatori di squadre di serie A vengano a vedere le partite del loro stesso campionato.
Il passaggio dai Giovanissimi agli Allievi e dagli Allievi alla Primavera infine è intervallato da due campionati nazionali a cui partecipano solo le squadre professionistiche.
Fin da piccolo ho avuto l’inconsapevole vantaggio mentale di non visualizzare mai quanto mancasse alla realizzazione del sogno, ma andavo avanti per piccoli personali obiettivi;
perché il calcio giovanile è un imbuto che ogni anno dimezza la sua circonferenza, e alla fine si tratta solo di trovare sempre il modo di farne parte.
Il primo obiettivo fu il riuscire a fare il passaggio dagli esordienti ai giovanissimi regionali, passaggio per cui statisticamente già 1/4 della squadra veniva mandata via.
Non solo sono riuscito a rientrarci ma ho avuto anche la fortuna di farmi selezionare da una delle squadre professionistiche della mia città, iniziai a pensare che forse non ero così scarso come pensavo fino a quel momento.
I giovanissimi a mio parere sono il triennio forse più bello di tutte le giovanili per vari motivi: giochi finalmente a 11,e i campionati e le partite iniziano ad essere simili a quelli che tanto ammiri in tv, anche se di fatto sei ancora un bambino e quindi sei ben lontano da pressioni proprie delle categorie superiori, sei spensierato.
Il secondo obiettivo fu quello di disputare il campionato Giovanissimi Nazionali, e a fine anno sono riuscito a mettere una spunta anche su questo.
Mi ricordo quanto fossi felice, quanto mi emozionasse giocare finalmente contro squadre come Napoli, Roma, Inter, Juve, Fiorentina e potermi finalmente confrontare con realtà che vedevo ancora umilmente tanto distanti e irrealizzabili.
Ricordo che si provava sempre a scambiare qualche maglia di allenamento e si faceva a gara a chi ne aveva collezionate di più.
Devo dire che questo campionato, che a quella età sembra un traguardo decisivo per realizzare il proprio sogno, è molto sopravvalutato.
Infatti la verità è che si è ancora troppo piccoli, molti ragazzi ancora non hanno sviluppato completamente, e il livello di gioco non è tanto più alto rispetto ad essere nelle migliori squadre dilettanti della propria città a giocare i Giovanissimi Elite.
Direi che è una categoria che oltre ad essere una bellissima esperienza.
Serve essenzialmente solo a “farsi un nome” che come vedremo è una delle cose fondamentali per il percorso; per il resto è forse la prima grande illusione del calcio giovanile.
Alla fine di quel campionato però il fallimento economico della mia squadra mi portò a dover ripartire da una squadra dilettante non lontano da casa, il che mi fece scattare nella testa il terzo obiettivo: giocare gli Allievi Nazionali.
Siamo arrivati quindi a parlare delle categorie Allievi, categorie dove tutto inizia a farsi molto più serio ed in cui giocare in un campionato o in un altro, in una squadra o in un’altra si che può fare la differenza.
La verità è che nel 90% dei casi il primo anno di Allievi è l’ultimo anno dove puoi ancora avere chance decenti di farti prendere da qualche squadra professionista, ed io questo fattore lo capii già in quel periodo.
Il calcio mi aveva cambiato, ormai ero molto più sicuro di me stesso ed ho interpretato quell’anno con la tranquillità di chi sapeva che dando il massimo avrebbe potuto recuperare quello che aveva appena perso.
Fui subito inserito sotto età nella squadra che disputava gli Allievi Elite, il corrispettivo per i dilettanti degli Allievi Nazionali.
Ho fatto la differenza, e vincemmo il campionato; a fine anno la mia squadra del cuore mi comprò per la stagione successiva, aiutandomi a coronare così il terzo obiettivo.
Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui mio padre si avvicinò alla rete per dirmi che gli era appena stato riferito che mi avrebbero preso in prova.
Del resto era un desiderio che ormai avevo accantonato da tempo, finii l’allenamento non riuscendo a smettere di sorridere nemmeno per un secondo, e con la mente tornai subito a quel giorno di mare di 7 anni prima.
Mi sono allenato in tutto quasi due mesi con gli Allievi Nazionali e il ritmo era tremendamente più alto di quello a cui ero abituato, differenza di ritmo per cui se da li in poi non fai parte del mondo professionistico difficilmente recuperi più.
Gli Allievi Nazionali sono l’anticamera della Primavera ma di una squadra di 25 ragazzi in 12 anche meno vengono confermati, per questo sono da considerare la seconda grande illusione.
Puoi giocare anche tutte le partite ma se la tua squadra non ti ritiene fisicamente e calcisticamente pronto non verrai riconfermato.
Ma soprattutto spesso capita che giocatori che negli Allievi Nazionali sono inamovibili, in Primavera non giocano più.
Per farla breve soprattutto nelle selezioni delle migliori squadre per la prima volta cambia l’ottica di valutazione, non si guarda più se puoi giocare nella categoria si guardano solo le tue prospettive.
Raggiunsi la Primavera che è stato il mio ultimo grande obiettivo, da li in poi le idee chiare in testa non le ho avute più.
Quest’ultima è anche la terza e ultima illusione, soprattutto se hai la fortuna di giocarla in un top club italiano.
Sei spesso in contatto con la Serie A con allenamenti e amichevoli con la prima squadra quasi tutte le settimane, hai tutto a disposizione, uno staff di medici e fisioterapisti solo per te, viaggi in prima classe, tv, per non parlare della vita fuori dal campo, tutto fin troppo bello.
Sembra tutto così vicino ma l’ultimo gradino è sempre il più alto di tutti.
Su una squadra di 25 forse 1-2 riescono a fare l’anno successivo il salto direttamente in Serie A altri 4-5 in B ed il resto si smarrisce tra C e D, e questo se giochi al Milan, Inter, Juve e Roma;
per le altre squadre lo spiraglio è ancora più ristretto, vi dico solo che della squadra con cui il secondo anno di Primavera abbiamo vinto lo scudetto nessuno venne preso in A, uno solo in B.
Circa 12 anni ed altrettante categorie, quattro fasi e tre illusioni, questo è come è strutturato il calcio giovanile italiano, per poi alla fine rendersi conto che l’unico momento che conta davvero sono gli ultimi sei mesi dell’ultimo anno, e che i precedenti undici erano utili oltre che per la tua crescita e a farti un nome in società, per poi finalmente arrivare in Primavera ed avere il potere di ottenere un contratto.
Perché se esci dalla Primavera e non hai un contratto scopri rapidamente che tutti e 12 anni non valgono niente sei da solo.
Io restai solo ma quella volta la forza mentale per ripartire non c’era più, non ero sicuro, non ero felice.