Siviglia, lo scrigno di pace dove ‘costruiscono’ il talento
Inzaghi sogna l’impresa in una città particolare, contro una squadra storica: cinque Europa League non nascono per caso, e noi abbiamo provato a scoprire qualcosa in più del mondo rojiblanco
Colpisce la strana quiete di febbraio, un senso di pace spezzato da una ballerina di Flamenco che sventola il mantòn. L’odore del Pata Negra per i vicoli stretti del Casco Viejo, o i colori di Plaza de Toros. Le parole in nero su bianco lungo le tribune del Pizjuan.
PACE ROJIBLANCA
Nessuno disturba, gli addetti ai lavori preparano Siviglia-Lazio e puoi scrivere in pace. Inzaghi sogna l’impresa. Il vento porta dietro le idee ricordando dove sei, basta ‘leggere’ spalti: “Sevillista serè hasta la muerte, orgullo de nuestra ciudad”.
Traduzione intuibile, anche se forse è meglio leggerla così, in spagnolo, per avvicinarsi meglio all’oasi andalusa, pronta a trasformarsi in caos quando si parla di pallone. La città dà un senso di pace, i ritmi sono più rilassati ma qualcuno protesta: il fuso orario spagnolo è impostato su Greenwich, ma è come se fossimo sempre un’ora indietro. Tutta colpa di Francisco Franco, nel ’42 decise di uniformarsi al Terzo Reich adottando il fuso che abbiamo anche noi.
Alla fine della guerra la Spagna ha mantenuto l’orario precedente e gli abitanti si sono adeguati. Orari sballati, ne risente la quotidianità, ma ogni gara del Siviglia è una scossa elettrica che punge.
Basta entrare in sala stampa per capirlo: sedie rosse, pareti rosse e scritte bianche, la storia del club spiegata ai giornalisti che arrivano qui. Cinque Europa League (di cui tre di fila), un Supercoppa Europea, cinque Coppe del Re, uno Scudetto e una Supercoppa spagnola. I volti dei protagonisti diventati uomini a Siviglia, prima di confermarsi dei campioni: Dani Alves, Rakitic, Ramos. I figli di Monchi, il “Re Mida” del talento con una laurea in legge.
Toglietegli tutto ma non la Coca Cola. Su quel muro c’è anche lui, e sul prato del Pizjuán resta il fermo immagine del suo ultimo bacio prima dell’addio, con le lacrime agli occhi e la maglia di Puerta, il terzino scomparso a 23 anni nel 2007. Il suo volto sorveglia lo stadio, il club ha ritirato la maglia, è scritto sul muro.
LO SCRIGNO DEL SIVIGLIA
Colpisce un’altra scritta poi: “Costruendo il Siviglia del futuro”. Per vederla devi andare a circa 6 km dal centro, lontano dal Pizjuan e dall’oasi di pace nel silenzio, in un’enclave isolata lungo la Carretera de Utrera.
Qui la filosofia resiste al tempo, il muro che circonda i campi è di un bianco sporco. Le porte sono rosse. I colori tornano, sono i soliti. È la Ciudad Deportiva José Ramon Palacios, il presidente che costruì lo scrigno del Sevilla, poi ampliato dai successori.
Luis Alberto ha iniziato qui, Correa ci ha giocato per due anni, Enzo Maresca qualcuno in più, Kanoutè è diventato un idolo. Bandiere diverse.
Qui il talento è stato scovato, riunito in un collettivo e poi costruito piano piano, come dice la scritta. E come ricorda l’impianto – l’Estadio Jesus Navas – dedicato al canterano con più presenze nella storia del Siviglia (464 partite e 38 gol).
Dopo 4 anni nel Manchester City è tornato alla base, il club gli ha intitolato lo stadio “per il suo modo di essere, i suoi valori e la sua lealtà”. Un simbolo di continuità, l’esempio dei valori, il riassunto di un’idea. Dentro uno scrigno di pace rotto solo da un inno diventato hit nel 2005. Notte Siviglia, ai sogni l’impresa.