Siamo tutti Luka Modric
Un momento atteso 10 anni, o poco più. Un’esultanza sentita, rabbiosa, viva. Un circolo vizioso che si è chiuso, una maledizione sventata. Un sogno che ora comincia a farsi più reale. La Croazia e Modric sono ai quarti di finale del Mondiale di Russia 2018. E ci arrivano passando per la lotteria (mai come in questo caso) impazzita dei calci di rigore. Una serie di penalty che ha esaltato i portieri, che ha messo sul banco degli imputati gli attaccanti, che ha emozionato come poche prima.
Qualcuno particolarmente sensibile, empatico, avrebbe potuto lasciarsi andare in un pianto, liberatorio, per trasudare tutta la tensione accumulata in 120’ e nei tiri dal dischetto. Qualcuno, vogliamo scommetterci, lo avrà fatto sicuramente. Perfino un uomo di 189 centimetri per 80 chili, nato a Spalato in un anno rivoluzionario come il 1968 e cresciuto nella ex Jugoslavia. Fatichiamo a credere che Slaven Bilic, ex giocatore ed oggi allenatore croato, con un passato da ct della sua nazionale, abbia trattenuto le lacrime, nel vedere due sue scoperte, i suoi due ragazzi terribili, salire in cattedra stasera, e decidere una partita di un Mondiale.
Le lacrime di Slaven le avevamo già viste il 20 giugno 2008, quando la Croazia fu eliminata dalla Turchia. E in effetti, tutti abbiamo pianto un po’ nel vedere una squadra promettente come quella selezione croata fare harakiri nel giro di 2’. I 2’ più importanti. Quelli che sono andati dal vantaggio di Ivan Klasnic, al minuto 117, al pareggio di Semih Senturk. Una volta segnato, Bilic era pronto ad un cambio, difensivo, tattico, per perdere tempo. Il guardalinee ignorò la sua richiesta e in quella frazie di secondo la Turchia pareggiò, portando la disputa ai rigori. Dagli 11 metri, 2 errori furono letali per la Croazia, contro una Turchia semplicemente perfetta: quelli di Luka Modric e Ivan Rakitic. I due pupilli di Ivan Bilic, che scoppiò in un pianto di protesta verso il destino, beffardo e crudele.
Stasera le lacrime di Bilic sono più dolci. Perché sono quelle del vincitore, che piange anche per onorare lo sconfitto, bravo a fargli sudare il successo fino all’ultimo. Piange perché i suoi due pupilli, all’epoca poco più che ragazzi, ora sono diventati uomini.Lo hanno fatto proprio stasera. Modric e Rakitic giocano in due top club (Real e Barça), hanno vinto coppe e campionati, eppure gli mancava ancora qualcosa da fare, una soddisfazione da togliersi, una macchia da cancellare, una penitenza da scontare. Quei due rigori chiedevano vendetta da 10 anni.
Un periodo di tempo infinito, lunghissimo. Come lunghissimi sono stati i secondi finali di Croazia-Danimarca, ottavo di finale di stasera. La Croazia, arrivata in pompa magna a punteggio pieno, subisce un colpo pronti via, ritrovandosi sotto di un gol dopo pochi secondi per la rete di Jorgensen. Ma torna subito in partita con uno che dei colpi non ha paura, né di darne né di prenderne: Mario Mandzukic. Lo juventino pareggia, e mantiene la Croazia in linea di galleggiamento. Il ct Dalic si affida in mezzo al campo alla classe di Rakitic e soprattutto di Modric, che appare però sottotono, teso. Quasi sapesse quale scenario lo attendeva.
Dopo un avvio incandescente, infatti, la partita si spegne. I regolamentari finiscono, sempre sull’1-1, iniziano i supplementari, e Modric comincia a sentire il profumo di rivincita, un’occasione che aspetta da 10 anni. E il momento, il suo momento, quel momento che tutti un po’ vorrebbero vivere e un po’ no arriva al minuto 117, quando lo stesso capitano croato lancia in porta Rebic, steso in area, e poi si incarica di battere il rigore conquistato. È un 1 vs 1, Modric contro Schmeichel. O meglio, Modric contro il suo incubo, contro se stesso, contro la paura di non farcela. E questa volta, vince l’altro.
Modric sceglie l’angolo, il destro. Per sua sfortuna lo stesso che sceglie Schmeichel, che blocca il pallone. Modric si accascia a terra, forse libera qualche lacrima. Poi ricorda quelle versate da Bilic 10 anni prima, e si rialza. Sa che c’è un conto in sospeso, e che lui è il solo che può saldarlo. Si arriva ai calci di rigore.
Più che una serie di penalty sembra una gara a chi sbaglia di più. Su 10 rigori tirati, i portieri ne parano 5. Ma i due che contano, con i due giocatori che contano, vanno a segno. Sono quelli di due ragazzini dalle vite diverse, dagli stili di gioco e dalle caratteristiche diverse, ma simili, con un destino intrecciato destinato a realizzarsi giocoforza insieme.
Pochi minuti dopo il fattaccio, Modric torna sul luogo del delitto. Ancora su quel dannato dischetto, con quel pallone che non vorrebbe più calciare, almeno per stasera. Invece c’è ancora un demone da sconfiggere. Ancora conto Schmeichel. Prima di lui avevano tirato Badelj e Kramaric, sbagliando e segnando. Il rigore di Luka è bruttino, centrale e neanche potente, ma entra. Un rigore calciato male, contro un portiere pararigori, entra. È il segno che un paese intero attende. Ma la storia non è ancora chiusa. Subasic e Schmeichel parano tanto e segnano poco. Si arriva al decimo rigore, quello decisivo per antonomasia. Sul dischetto Ivan Rakitic, un altro con gli scheletri nell’armadio. Il suo rigore è rapido e perfetto: rincorsa breve, palla da una parte, portiere dall’altra. Un attimo che cambia una serata, pochi secondi che riportano ad un decennio prima.
Nessuno si sarebbe atteso una partita così tirata, giocata metro a metro. Ma questo Mondiale ci ha insegnato a non dare nulla per scontato. Neanche ad affidarsi troppo ai fenomeni, quelli veri, eccezionali ma pur sempre uomini.Anche un centrocampista, forte, mostratosi debole, umano. Luka Modric aveva un contro in sospeso da 10 anni, quando ancora giocava nella Dinamo Zagabria e in Europa lo conoscevano due o tre. Poi è andato al Tottenham, è cresciuto, è andato al Real, ha iniziato a vincere. Ha sempre rappresentato il centrocampista che tutti vorrebbero avere in squadra. Oggi è stato l’uomo che tutti sogniamo di diventare, quello capace di finire ciò che aveva iniziato, colui che vuol farsi perdonare, e lo fa. Stasera siamo tutti un po’ croati, siamo tutti Luka Modric.