Unico e insostituibile, nel derby comanda Savic: è Milinkocrazia
Milinkocrazia. Niente “demo” eh, si scrive così. Ergo: il governo di Milinkovic. Nel senso che in mezzo comanda lui, Sergej Milinkovic-Savic, il ragazzo della Catalogna. “Catalogna? Ma non è serbo?”. In effetti sì, pure Campione d’Europa U20 nel 2015. Ma è nato lì, il papà giocava a calcio e la mamma a basket. Un’infanzia di sport non sapendo cosa scegliere, tiri liberi e punizioni. Pallamano, tennis, pallavolo, ovviamente il basket: “Registrò i migliori risultati in ogni cosa”. Quando ce l’hai nel sangue c’è poco da fare (pure suo fratello Vanja è un calciatore, portierino del ’97 appena preso dal Torino). Ma Sergej era convinto: “Meglio il pallone, ero più bravo”. Meglio per tutti, specie per Inzaghi e per la Lazio, che ora si gode il suo Milinkovic, protagonista assoluto nel derby di Tim Cup contro la Roma (2-0). Il gol? L’ultima cosa. “Comanda”. Colpi di tacco a liberare, segna grazie un suo passaggio ed è bravo a seguire l’azione, oscura Paredes. Man of the match. Dietro le spalle ha solo il nome: Sergej. Perché Milinkovic-Savic occuperebbe troppo spazio. Doppio cognome, qualcuno si chiede perché e lui spezza il muro del dubbio: “Abbiamo seguito la legge locale. Stabilisce che anche gli stranieri, compresi i bambini, devono mantenere il cognome del padre e della madre”. Telecronisti dubbiosi su quale nome scegliere: “Entrambi o uno solo?”. Milinkovic e via, siamo a posto.
Per una Milinkocrazia plasmata da Inzaghi e da lui portata avanti, col contributo di Pioli, poi alimentata col fuoco della titolarità in ogni zona possibile: mediano, esterno, trequartista, mezz’ala. Ovunque. E ovunque lo metti, lui governa. A modo suo, col fisico e con la garra, quella acquisita tra rakjia e sangria. Questione di origini. 27 presenze stagionali, 6 reti e 5 assist, maturazione completata. E pensare che l’anno scorso c’era un po’ di scetticismo circa il suo talento. Brillava sì, ma soltanto a tratti. Stavolta è diventato “un giocatore completo”. Parola di Inzaghino, suo creatore. E Milinkovic ha risposto presente creandosi uno spazio tutto suo. Pardon, un’identità. Guardatelo bene: 191 centimetri, ma grande tecnica. Tutt’altro che agile nei movimenti, ma rapido di gambe e di pensiero. Inserimenti da esterno, ma se gioca lì fa un po’ fatica. Ottimo dribbling nello stretto. Di testa, poi, le prende tutte lui. Tutte. Tant’è che spesso va a fare la torre sui piazzati.
Insomma, per certi versi Milinkovic-Savic è una contraddizione bella e buona. Efficace, ma al tempo stesso tremendamente incollocabile su una scala di ruoli. Una qualità che lo innalza a giocatore unico per caratteristiche. Perciò, insostituibile. Comanda e giostra, quest’anno è una sentenza: classe ’95, il futuro della Lazio (è uno degli Under 21 con più minuti in Serie A). Con una storia di mercato tutta sua: perché la querelle con la Fiorentina meriterebbe un pezzo a parte. In breve: Milinkovic atterra a Firenze e va in sede per firmare, ma al momento della sigla definitiva si tira in indietro. Qualcuno parla di lacrime, altri di ‘pressioni esterne’. Altri ancora dell’influenza della fidanzata. Misteri del pallone, tant’è che il serbo prende il primo aereo e vola a Roma: cinque anni di contratto con la Lazio e dieci milioni al Genk. Investimento importante. Ora? Il grande obiettivo, la grande corsa per l’Europa: “Voglio la Champions League”. Intanto un gol in Tim Cup che profuma di finale. Da piccolo, ai tempi del Vojvodina, si “nascondeva dietro agli alberi per correre di meno”. Una furbata. Ora si fa vedere da tutti, semplice Milinkocrazia.