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#Russia2018 – Mosca, calcio&vagoni a casa Lokomotiv: l’importanza dell’identità

Esci dalla metro e capisci subito dove sei: “Zeleznodorozniki”. Tradotto: “Ferrovieri”. E’ scritto praticamente ovunque: sulle strade, lungo i muri. E sui cancelli. Soprattutto lì, in quel piccolo ingresso che apre le porte a “casa Lokomotiv”. Stesso nome della fermata in cui scendiamo, figlia di retaggi pallonari di una storia che parte da lontano: cartoline dall’Urss sbiadite dagli eventi. Chronicles of Stalin. C’erano lo Spartak, il CSKA, la Dinamo e la Torpedo Mosca. Il popolo, l’esercito, la Ceka e le macchine. Poi la Lokomotiv, la squadra “più povera”. Quella delle “ferrovie”. I cugini “scarsi” di una Mosca sovietica, rossa e di ferro, che provava a incastonare il pallone tra falci&martelli appena sorti. Anche lui simbolo della Lokomotiv, che nel palmarés può vantare due titoli di Russia. Vince l’orgoglio, la forza di questo club che va avanti da quasi 100 anni…con un pizzico di italianità: Pelizzoli e Ruopolo hanno giocato qui, il primo ha vinto anche la Coppa di Russia nel 2007: “E ancora ce lo ricordiamo bene!”. Come il settimo trofeo alzato l’anno scorso. Lokomotiv calling.

Identità e tradizione come chiavi di volta, senso di appartenenza: fuori lo stadio c’è una locomotiva che rievoca le origini del club. Ci si può pure salire. E’ nera, coi simboli dell’Urss e i colori della squadra. E all’esterno, vicino la caldaia, ci sono una serie di targhe con le date di tutti i trofei vinti. Perché qui, a casa Lokomotiv, capisci subito in che zona sei: quella dei “ferrovieri” di Mosca. Linea rossa, Piazza Rossa lontana e una bella foto di Jefferson Farfan in bella vista, col cirillico d’ordinanza: “Ci prepariamo per l’Europa League”. L’esterno è uno dei “figli” di Erik Stoffelshaus, ds del club da appena pochi mesi con cui abbiamo avuto la fortuna di pranzare: “L’ho portato io qui, giocava ad Abu Dhabi e non lo voleva nessuno. Adesso è uno dei nostri migliori giocatori”. Vittorie di mercato.

Lokomotiv Stadium o “RZD Arena”. Meglio chiamarlo così per logiche di… finanziamento: l’impianto, infatti, è stato ristrutturato nel 2002 coi fondi del Ministero dei Trasporti, può contenere 28mila spettatori e nel 2013 ha ospitato un concerto dei Depeche Mode. Sold out come nei big match della Lokomotiv, che ora insegue lo Zenit di Mancini al primo posto. Denisov&co subito dietro a sole due lunghezze (26 punti), il ds resta cauto: “Voliamo basso…”. Tradotto: “Vittoria? Magari, sarebbe un’impresa”. Intanto, la Lokomotiv resta lì, quasi nascosta, col suo bello stadio. Ma nonostante i tentativi della società non ospiterà i prossimi Mondiali: “Troppo piccolo” secondo gli standard (è previsto un apliamento). Ma noi ci siamo stati lo stesso. Abbiamo visitato il museo, il centro d’allenamento e lo stadio delle riserve. E vi ci portiamo in esclusiva. Quinta tappa del nostro reportage, arriviamo a Mosca.

DENTRO LA RZD ARENA

Colpisce l’identità. Il legame con le proprie origini. Tant’è che appena entri noti subito gli ingressi dello stadio. Meglio: la loro struttura. Sono dei… vagoni! Il richiamo della locomotiva. Entri all’interno di una “cabina” del treno, coi soliti tornelli e una copertura stile carrozza. Fondamentali per fidelizzare il tifoso e renderlo partecipe della storia del club. Visibile, tra l’altro, nel primo museo di Russia dedicato a una squadra di calcio (inaugurato nel 2011). Dentro c’è tutto: una sala con le leggende del club, magliette come se piovesse, tante bandiere, i gagliardetti dei club europei affrontati negli anni e il ricordo di una vittoria contro l’Inter per 3-0, nel 2003. Loskov mattatore, recordman di gol e di presenze. Locomotive ovunque poi, dal tunnel che porta al campo fino agli spogliatoi. “Scusate il disordine – ci dicono – c’è appena stata una partita”. Sul tavolo ci sono ancora le indicazioni di Semin, fogli tattici portati in panca. Frecce, appunti e nomi. C’è anche quello di Manuel Fernandes, autore di una tripletta nell’ultimo turno di Europa League. Profetico.

Vicino lo stadio, poi, c’è anche un altro impianto: è la Sapsan Arena, casa della squadra riserve dalla Lokomotiv. Colpiscono giusto un paio di cose, forse tre. La struttura è circondata da un parco dove tutti possono andare, en plein di verde fuori lo stadio; mentre nei campi di allenamento vicini ci sono dei piccoli muri con le porte disegnate col gesso. Pure dei numeri: 3, 6, 7, 8. Bersagli per le punizioni. Il 9 è il più usurato, guardi la zona e capisci perché. E’ quella “sotto il sette”. L’ultimo aspetto è… tattico. In campo c’è la seconda squadra – la Kazanka FC, milita in terza divisione russa – noi ci avviciniamo per fare qualche foto e loro, di colpo, concludono la partitella. Calciano in porta, iniziano il torello, fanno tutt’altro. “Why?”. La guida ci spiega perché: “Non vogliono riprese, hanno una partita importante…”. Cautela e programmazione, pure nella seconda squadra. Qui, a casa Lokomotiv, dove i Mondiali non ci saranno ma l’orgoglio resta vivo. Tra parchi, vagoni e locomotive: “ferrovieri”. Camminando in quella storia che fu e che sicuramente sarà, figlia di un’identità perenne.