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Rummenigge: “Juve forte, non sono convinto passerà il Barcellona. Porterei Dybala al Bayern”

Negli anni ’80 il campionato di Serie A era meta ambita di tutti i più grandi campioni del mondo. E nel 1984 all’Inter arrivò, direttamente dal Bayern Monaco, Karl-Heinz Rummenigge, uno dei calciatori tedeschi più forti della storia. Campione d’Europa con la Germania nel 1980, sconfitto poi in finale mondiale dall’Italia due anni dopo, ha anche vinto il Pallone d’Oro per due stagioni consecutive (1980-1981). Proprio l’attaccante tedesco e dirigente del Bayern Monaco, si è raccontato nel Corriere dello Sport di questa mattina. Partendo dai quarti di finale di Champions League: “Le quattro più forti tutte contro? E’ un problema che ho posto anche io l’anno scorso, quando abbiamo giocato gli ottavi contro la Juve – spiega Rummenigge – Fortunatamente siamo passati noi, perché mancava un minuto o due alla fine e, se il risultato non fosse cambiato proprio in extremis, sarebbe uscita la nostra società. In qualsiasi sport vengono fatte le teste di serie, invece nel calcio no. Forse perché il calcio è qualcosa di speciale. E, specie nella cultura anglosassone, si vuole che possa accadere il miracolo, che la piccola possa arrivare in cima. Chi vince la Champions? Negli ultimi tre anni hanno vinto le squadre spagnole. Io credo che quest’anno sarà forse la più dura Champions League da vincere di tutti i tempi, perché a parte forse il Leicester che a sorpresa è andato ai quarti, tutte le altre sono in grado di vincerla. Quindi difficilmente si può dire adesso chi è la grande favorita. Io credo che la Juve sia una squadra quest’anno molto forte e quindi non sono convinto che passerà il Barcellona”.

Sui talenti più interessanti che porterebbe al Bayern: “Ci sono parecchi giocatori bravi nelle diverse società. Penso a uno come Dybala che gioca nella Juve, o altri. Ce ne sono tanti adesso. Il problema è che nessun giocatore bravo viene venduto. O si spara un prezzo fuori dal normale, o non viene venduto. Quindi giocatori bravi oggi né da noi, né nella Juve, né nel Real, né nel Barcellona vengono venduti anche se le offerte sono grandi. Questa è la grande differenza tra oggi e quando giocavo io a pallone. Lì c’era sempre un prezzo raggiungibile”. “Come mi trovo con Ancelotti? Molto bene. E’ diventato un mio amico. Perché mi piace il suo modo di gestire la squadra, ma mi piace anche il suo modo di vivere la vita privata. E’ sempre tranquillo, anche quando la squadra non ha giocato bene, non ha fatto un risultato buono, Carlo rimane tranquillo e questo mi piace perché è anche un po’ il modo mio di intendere il calcio e non solo. Bisogna avere pazienza nella vita. E lui avrà pazienza sempre”.

Sulla sua storia: “Ai miei tempi non c’era niente altro da fare che giocare al pallone, per divertirsi. Finita la scuola andavamo subito in campo a giocare a pallone. Ho aspettato i diciotto anni per andare a Monaco, al Bayern. Il primo giorno lo ricordo molto bene perché mentre facevamo l’allenamento è arrivata la squadra mitica, quella dei miei sogni da bambino. Quando siamo usciti per la prima volta in campo per allenarci, c’erano quindicimila spettatori. Io sono uscito per primo e mi sono nascosto nell’angolo per guardare un po’ la scena, come se io non c’entrassi, perché è stato proprio spettacolare quello che ho visto. Erano dei miti in tuta. Italia-Germania 4-3? Me la ricordo bene, Ero un ragazzo di quindici anni. Dopo il primo tempo io andai a letto per dormire. Ma, dopo un po’, mio padre mi ha svegliato dicendo di andare a vedere la partita, perché era una partita storica. Ho visto il resto del match ed è andata come è andata. Il mio idolo? Johan Cruyff.
Per il suo modo di interpretare il gioco, per la velocità, per il
dribbling, un po’ per tutto. Anche per il modo di vivere, perché aveva i
capelli lunghi, fumava, era un po’ diverso da un giocatore normale.
Non
ho giocato con lui, ma Diego Maradona, quando siamo stati insieme in
Italia, ha dimostrato di essere proprio un giocatore diverso, qualcosa
di speciale. E’ stato un giocatore di grande classe. Lui poteva fare la
differenza anche da solo. E la più grande cosa in cui è riuscito è stata
quella di infiammare una città intera. Grazie a lui hanno vinto il
campionato, e la città di Napoli è salita al vertice del calcio europeo.
Chi mi marcava meglio? Nella finale ho giocato con Beppe Bergomi, che
poi è stato mio compagno nell’Inter. Mi ha marcato molto bene e,
sinceramente, prima della partita non immaginavo che un diciottenne
potesse mettermi fuori partita. Io non stavo tanto bene ma non è una
scusa, lui ha giocato bene. Un altro forte davvero era Claudio Gentile”.

Dopo la Germania, i tre anni all’Inter: “Li ricordo molto bene, perché mi hanno dato molto. Purtroppo in campo le cose non sono sempre andate tanto bene. Io volevo vincere a tutti i costi un campionato, uno scudetto, perché avevo capito che questo mancava a Milano da anni. Comunque è stata un’esperienza che mi ha aiutato molto nella vita. Anche adesso è viva in me. Ho ancora un contatto stretto con l’Italia, perché mi piacciono il modo di vivere, il modo di interpretare la vita, la cucina, la gente. Mi è piaciuto tutto del vostro paese e poi ho anche imparato molto. Gli allenatori erano Castagner, Corso e poi da ultimo Trapattoni. Mi sono trovato bene con tutti perché erano bravi tutti e tre, in un modo o nell’altro. Certamente Trapattoni era quello che aveva avuto più successo nel calcio. Alla fine conta molto, il successo.Castagnerera molto umano, un personaggio molto dolce, simpatico e poi purtroppo è accaduto quello che è accaduto, ed è stato licenziato dopo un anno e mezzo. I miei ex compagni ogni tanto li sento. Ho visto qualche settimana faLiamBrady, eravamo i due stranieri in squadra, perché in quel periodo erano permessi solo quelli per ogni società. Eravamo noi due.Liaml’ho visto quando abbiamo giocato con l’Arsenalnella Champions Lea-gue. Ogni tanto sento anche Spillo, che abita attualmente in Qatar. Con tutti è rimasto qualcosa. Anche con Zenga, che ogni tanto vedo a Milano. Erano proprio anni belli, divertenti, che mi hanno aiutato a capire molto di più il calcio e anche la vita”.

Non solo club, Rummenigge ha fatto grandi cose anche in Nazionale: “La finale del 1982? Ricordo che prima della partita ho capito che si metteva male. I tifosi italiani erano arrivati in massa a Madrid. Non so come fossero riusciti a beccare tutti quei biglietti. Lo stadio era molto grande in quel periodo, credo qualcosa come novantacinquemila posti. Prima della partita ci siamo accorti che almeno sessantamila erano italiani quindi era chiaro, fin dall’inizio, che sarebbe stata una partita difficile da vincere, perché il supporto italiano era molto grande. Poi il problema è che eravamo un po’ cotti dopo la semifinale contro la Francia, avevamo giocato centoventi minuti, con i tempi supplementari. Invece l’Italia marciava come un treno, perché nel girone eliminatorio aveva avuto un percorso complicato, ma poi hanno vinto con l’Argentina e poi con il Brasile, quella famosa partita, in cui hanno giocato alla grande meritando di aggiudicarsi il torneo. Di lì la squadra era sicura della sua forza. La mia filosofia è stata sempre quella che quando l’altro è migliore di te merita di vincere ed essere rispettato. Così fu quella sera, alBernabeu. Due finali perse? Quella del 1986 era da vincere, perché eravamo 2 a 0 sotto, in cinque minuti abbiamo rovesciato la partita, pareggiando. Mancavano pochi minuti alla fine e l’Argentina, come squadra, mi dava in quel momento l’impressione che fossero stanchi, al capolinea. Noi abbiamo fatto il grande errore di non gestire il tempo, volevamo vincere subito. Abbiamo sbagliato, perché sarebbe stato meglio, tatticamente, gestire il gioco andando ai supplementari. Probabilmente avremmo vinto. Purtroppo si è perso, invece”.