“Rovesciata al Milan? Merito dell’istinto e di Vialli, il mio idolo”. Pasquale Luiso, il “toro di Sora” si racconta
La rovesciata al Milan, la “macarena dance”, le notti magiche di Coppa delle Coppe, capitoli indimenticabili della storia di Pasquale Luiso. In realtà la favola del Toro di Sora parte da più lontano, dalla strada e i campi in terra battuta. Lì dove per giocare devi farti rispettare, dove esistono poche regole e tanta fantasia, dove nascono gesti che poi magari ti rendono immortale. Come il gol in rovesciata alla squadra del cuore del 1 dicembre 1996. Adesso Luiso allena la Primavera del Vicenza ed è tornato nel sul “teatro dei sogni”, il Menti.
“Sì, ho intrapreso la carriera da allenatore da un paio d’anni e lo scorsa estate è arrivata la grande occasione” – racconta Luiso ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – “Ma prima di arrivare qui, come si dice in questi casi, un po’ di cacca l’ho mangiata: ho fatto la gavetta. Ho ottenuto due promozioni con il Sora portandolo fino alla serie D, poi Sulmona e Celano: mi sono fatto le ossa. Stiamo facendo abbastanza bene, a parte la batosta di Milano: però loro schieravano pure Montolivo... Comunque esperienza bellissima. Spero di farmi conoscere, vedo tanti ragazzi come Bucchi, Oddo, Inzaghi che giocavano nel mio periodo e ora stanno facendo bene in panchina con le squadre alle quali erano più legati. Il mio sogno è allenare il Vicenza. Penso di avere il carattere giusto: mi piace molto far giocare i miei ragazzi a pallone. E poi so stare nello spogliatoio e fare gruppo: è una marcia in più che hanno tutti gli ex giocatori”.
Ricorda ancora la rete al Milan? “Come no, è quella che mi rispecchia di più. E’ un gol tutto istinto: non ero un giocatore tecnico, basavo tanto del mio gioco sulla forza e sull’istinto. Non era il primo, quei gol li ho sempre fatti, ad Afragola, a Sora, per strada o sulla spiaggia giocando con gli amici. Sono giocate che ti escono così e con un pizzico di fortuna entrano in porta. Bello, pesante e decisivo. Ma di quella annata ne ricordo anche altri due con molto piacere: quelli dello spareggio di Napoli, perché valsero la salvezza del Piacenza“. Talento nato per strada?
“Grazie alla strada e a mio padre, che da buon napoletano era innamorato di questo sport. Giocava a livello dilettantistico, ma la passione non era certo minore e così ben presto anche io mi sono ritrovato con una palla tra i piedi. Certo, poi ho fatto qualcosina in più a livello di carriera… (ride). La squadra del cuore è stata sempre il Milan e l’idolo Gianluca Vialli. La mia infanzia non la scorderò mai, ogni posto si trasformava in un campo di gioco. A volte bastavano due maglioni come palo, o il portone della Chiesa, due o tre amici e una palla. All’inizio ero esterno destro, ai tempi dell’Afragolese. Fu decisivo il passaggio a Sora, dove mister Di Pucchio mi trasformò da tornante in attaccante centrale: da lì non l’ho smessa più di segnare”.
Come è nato il soprannome? “E’ nato perché poi passai al Torino e quindi i tifosi granata mi ribattezzarono il Toro di Sora. Fui il primo acquisto dell’era Calleri. Venne a vedere Trapani-Sora, vincemmo due a zero e feci due gol. Scese giù negli spogliatoi e disse ‘questo è mio’. Ancora non aveva annunciato l’acquisto del Torino ma sapeva già chi sarebbe stato il primo giocatore. Andammo a Roma e chiudemmo subito l’affare: mi disse di non dirlo a nessuno. Mi pagò 500 milioni”. Ultimo capocannoniere della Coppa delle Coppe, altro ricordo speciale per Luiso: “Quelle giornate di Coppa delle Coppe le ricordo come se fosse ieri. A Vicenza le persone ancora mi riconosco, mi chiedono della serata stregata di Stamford Bridge: sono ricordi indelebili, fu l’ultimo grande Vicenza. Qualche ex compagno lo scorso 3 aprile mi ha detto ‘e dire che 19 anni fa giocavamo a Londra contro il Chelsea’. Già, sono passati 19 anni, ma è come se fosse ieri. E io sono entrato nella storia di quella competizione: sono l’ultimo capocannoniere”.
Stamford Bridge, ma anche Menti di Vicenza: “Ci sono entrato giusto la settimana scorsa con la mia Primavera per giocare contro la Fiorentina, ricordi bellissimi: la visione della curva mi ha fatto venire i brividi. Nello spogliatoio ho detto ai miei ragazzi: ‘Per me tornare qui è un sogno, perciò fatemi sognare…’ “. Aneddoto da raccontare ai nipotini? “Quello della Macarena, divertentissimo. Ci ritrovammo in stanza con Di Francesco, Piovani, Valtolina e Taibi. Piovani disse ‘se segnamo festeggiamo con questo ballo’: provammo le mosse in hotel. Allora in occasione del derby con la Reggiana lo proponemmo. Vincemmo con due gol miei e esultammo con la Macarena. Gigi Cagni, all’epoca allenatore della Reggiana, non accettò questa nostra esultanza, ma fu una cosa molto carina. Ancora oggi a Piacenza ci ricordano come ‘la squadra degli italiani’ o ‘la squadra della Macarena’ “.
Chi le piace di più degli attaccanti di oggi? C’è un nuovo ‘Toro’? “Tra i giovani sicuramente il “cholito’ Simeone, forte fisicamente e nel gioco areo. Poi Belotti: forza, determinazione e cattiveria sotto porta degna di un toro. Qualche stagione fa mi piaceva Ardemagni, poi si è un po’ perso. Purtroppo, a parte il Gallo e Immobile, non vedo tantissimi ricambi di qualità per la Nazionale. Almeno come nel mio periodo. Era difficile trovare spazio con i vari Vieri, Inzaghi, Vialli, Casiraghi: bomber veri, quelli di un tempo…”. Già, come Pasquale Luiso, il Toro di Sora.