Rossi: “Higuain? Fortissimo, ma non vorrei che avesse rotto qualche equilibrio…”
Ancora tre giorni e poi Paolo Rossi entrerà nel club dei “sessantenni”. Sembra incredibile ripensando alle immagini del mondiale dell’ottantadue, ma il tempo passa per tutti, anche per le “leggende” come “Pablito”, che giocherebbe ancora volentieri a pallone se il fisico glielo permettesse…
“Se guardo il mio fisico, scopro tutti gli acciacchi della carriera” – si legge nelle pagine de La Gazzetta dello Sport – “Infatti, dopo cinque operazioni, posso soltanto dare il calcio d’inizio alle partite in giro per il mondo con i miei vecchi compagni. Ma se mi dicono che ho 60 anni, rispondo che non è vero. Ne ho tre volte venti, come le tre donne con cui vivo. Dopo il primo matrimonio e il primo figlio Alessandro, che adesso ha 33 anni, queste bimbe mi regalano sensazioni indescrivibili, quando le accompagno a scuola o quando le vado a prendere. Sono loro il segreto del mio spirito e della mia felicità”.
La sua storia cominciò nelle giovanili della Juventus: “Ero nei ragazzi dei bianconeri, ma siccome in prima squadra non giocavo mai chiesi a Boniperti di trovarmi un’altra sistemazione. Mi propose il Vicenza in B e fu la mia fortuna. G.B. Fabbri è stato l’allenatore della svolta, perché mi ha trasformato da ala in centravanti. Promosso in A, poi capocannoniere e la convocazione in azzurro per il Mondiale 78. Il trionfo è arrivato nel 1982, ma io sono molto legato a quel Mondiale perché è stato la mia prima ribalta internazionale. Giorgio Lago, giornalista del ‘Gazzettino’ di Venezia, mi soprannominò Pablito e da quei giorni in Argentina sono diventato Pablito per tutti. Le mie figlie mi chiamano Paolo, ma a me piace che gli altri nel mondo del calcio mi chiamino Pablito”.
Rossi racconta l’avventura del mondiale di Spagna: “Nelle prime partite capivo di non star bene. I compagni mi prendevano in giro, ma sentivo affetto nelle battute di Causio, Cabrini, Tardelli. Non finirò mai di ringraziare Bearzot, l’unico che ha sempre creduto in me. Io gli devo tutto. Se non ci fosse stato lui, adesso non sarei qui e nessuno mi cercherebbe, altro che film. Uno come Bearzot nasce ogni cent’anni: era un uomo vero, diretto, sincero, coerente, magari duro e testardo, ma proprio per questo si faceva amare. E poi anche un grande tecnico e un grande psicologo. Pensi che dopo la mia tripletta contro il Brasile, si sedette vicino a me e mi disse: ‘Bene, Paolo, ma adesso pensa alla prossima partita’. Mi parlò così perché voleva mantenere alta la tensione”.
“Pablito” individua il suo erede, un altro Rossi: “Ne ho visto soltanto uno che mi assomiglia, anche perché si chiama come me: Pepito Rossi aveva e ha grandi qualità, mi rivedo un po’ in lui, ma non ha avuto la mia fortuna e mi dispiace perché è un bravissimo ragazzo”. Vicenza e Juventus, i primi amori non si dimenticano: “Sono legato ai biancorossi e vorrei rivederli in Serie A, ma ho ancora un debole per la Juve, perché è stata la prima squadra che mi ha preso e poi ripreso. Ricordo con nostalgia le telefonate di Agnelli alle sette del mattino. Champions League? Ha tutto per farcela, ma storicamente la Champions è stregata per la Juve. Deve imparare a gestire la pressione, come ha fatto il Real Madrid che inseguiva la Decima e non la vinceva mai, ma poi quel giorno è arrivato”.
Anche l’ex attaccante azzurro non ha digerito del tutto la sconfitta con l’Inter: “E’ la dimostrazione che nel calcio non c’è nulla di scontato. Anche se la Juventus è ancora in rodaggio, mi chiedo come si possa tenere fuori Higuain. E’ fortissimo, nessuno lo discute, non vorrei però che avesse rotto qualche equilibrio, anche se gioca con un fenomeno come Dybala che mi sembra la versione moderna di Sivori. All’età di Higuain andai al Mondiale in Messico come turista perché Bearzot, con la solita schiettezza, mi disse che non avrei mai giocato e io accettai per riconoscenza. Purtroppo le mie ginocchia non mi reggevano più e subito dopo passai al Verona per stare vicino a casa. Eppure, anche se in quel Mondiale non giocai mai, mi hanno invitato in Messico per farmi entrare in novembre nella loro Hall of Fame, con Ronaldo, Zico e Rummenigge“.