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Roma, Mourinho: “Voglio far felice il tifoso comune, aiutare gli altri a vincere”

Le dichiarazioni dell’allenatore giallorosso tra sport e fede religiosa

L’avventura romana di José Mourinho non inizia e finisce nei cancelli di Trigoria. L’allenatore giallorosso ha sviluppato una simbiosi unica con la città di Roma, vivendola in tutti i propri aspetti. La scorsa settimana, lo Special One si è recato nel Vestibolo della Biblioteca Apostlica Vaticana, dove ha tenuto una lunga chiacchierata con il cardinale portoghese Josè Tolentino, tra sport e fede religiosa.

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Mourinho: “Resto un animale da competizione, ma ora voglio vincere per gli altri” 

Nel corso della chiacchierata, José Mourinho ha parlato in maniera molto introspettiva della propria evoluzione, non come allenatore ma come persona: “Per molti anni ho voluto vincere per me stesso, mentre adesso sono in un momento in cui la voglia di vincere è rimasta, forse con più intensità di prima, ma non più per me: per i giocatori che non hanno mai vinto. Voglio aiutarli. Penso molto di più al tifoso comune che sorride perché la sua squadra ha vinto, una vittoria che renderà probabilmente la sua settimana più felice. Continuo a essere un “animale da competizione”, continuo a voler vincere come o più di prima, ma prima mi concentravo su me stesso”.

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 L’empatia delle persone

Una delle persone più importanti della carriera di Mourinho è stata Manuel Sergio, suo professore di “filosofia delle attività corporali” all’Università: “Il professore mi ha insegnato a comprendere che ogni persona è diversa dall’altra. Ogni calciatore è diverso dall’altro, e l’espressione di ciascuno di loro in campo in termini di prestazione è la conseguenza di un’empatia che si crea tra due uomini: nella fattispecie, tra un uomo molto più maturo (l’allenatore) e i calciatori. Questo tipo di empatia per me è fondamentale“. 

Mourinho enfatizza quindi l’importanza della conoscenza dell’umano per un allenatore: “A livello umano, ogni giorno è un giorno nuovo, e ogni persona è una persona nuovo. In 20 anni di carriera, ho avuto tantissimi giocatori, ciascuno unico. Mi rifiuto sempre di fare paragoni. Possiamo trovare punti simili a livello tecnico, ma fare paragoni tra persone è una cosa che odio fare. Ogni persona è diversa dall’altra, e anche il mio modo di pormi con loro è diverso: perché una cosa è essere un allenatore di 35 anni di calciatori di 30, altra cosa è essere un allenatore di 59 anni di giocatori di 25″.

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 Il ruolo dello sport nella formazione secondo Mourinho

In un ultimo passo della lunga chiacchierata, l’allenatore giallorosso ha parlato del ruolo che ha lo sport, o il gioco più in generale, nella formazione dei bambini: “Il contributo che il gioco dà ai giovani è fantastico. È una questione educativa: nelle scuole, nelle fasce d’età più basse, e nello sport di formazione, questo deve essere l’asse centrale di sviluppo. Il bambino che cresce in uno spogliatoio con amici, con i quali crea legami forti nello sport e nel gioco, cresce con altre razze, religioni e quando sarà adulto, questa base sarà presente. Un giovane italiano cresciuto con un africano arrivato in Italia come rifugiato da una di queste situazioni che abbiamo per il mondo, credete che un giorno sugli spalti sarà aggressivo, razzista, xenofobo? Non lo sarà“.