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Rigo sugli infortuni: “Lesioni? Genesi multifattoriale. Il calcio è cambiato”

Cause, fattori e prevenzione del problema: Claudio Rigo racconta il suo punto di vista sui sempre più frequenti infortuni al crociato

Rodri, Bremer, Carvajal e ora anche Zapata: l’infortunio al crociato, nel mondo del calcio – ma non solo – è da sempre un colpo basso e difficile da digerire. Una vera e propria “croce”, se così vogliamo definirla, che mette a repentaglio in maniera netta la carriera e il prosieguo nel mondo dello sport di un determinato atleta. Abbiamo chiesto a Claudio Rigo, ex responsabile dell’area medica di Juventus e Udinese – fra le tante -, cosa ne pensa e quali possono essere le possibili cause dei sempre più frequenti infortuni al crociato

Una genesi multifattoriale 

Difficile fornire una risposta precisa. – ha dichiarato Rigo in merito a una possibile causa comune di questi infortuni  – “Ci sono vari parametri che vanno considerati: la genesi è multifattoriale. Può esserci una lesione del crociato da trauma diretto a seguito di contatto, tackle o comunque con l’ intervento di forze esterne, che possono determinare la sollecitazione del ginocchio con meccanismi non fisiologici, verso i quali l’automatica difesa di una contrazione muscolare riflessa volta a limitare i danni viene meno proprio perché si tratta di un infortunio legato a un contatto con una forza esterna“.

 

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Uno sguardo al passato

“Quello che è certo è che rispetto a 20-30 anni fa le lesioni al crociato sono aumentate in conseguenza di vari fattori: se guardiamo la famosa Italia-Germania (Mondiale ’82, ndr) sembra ora una partita in slow-motion se la confrontiamo a una qualsiasi partita dei giorni nostri. Più si corre forte e più ci sono rischi di farsi male se ci troviamo davanti a un ostacolo. Ostacolo che può essere un avversario, ma si può avere una lesione anche in assenza di eventi esterni. Come per esempio il grip anomalo dello scarpino (la cui conformazione è cambiata nel tempo, ndr) sul terreno, che fa da fulcro di leva e gioca poi un’azione di valgo extra-rotazione del ginocchio che porta alla lesione del legamento crociato anteriore. Poi si è anche visto che c’è una maggiore incidenza di questi infortuni su terreni sintetici, ma tutti questi giocatori che si sono fatti male recentemente hanno avuto una lesione su terreno con manto erboso.  Forse a volte è meglio prendere un gol piuttosto che giocarsi il crociato“.

 

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Fattori anatomici

Come riferisce il Dott. Rigo, ci sono però anche cause legate a fattori puramente anatomici, oltre che esterni: Ginocchio valgo (conformazione anatomica in cui le ginocchia puntano l’una verso l’altra, ndr) e iper-lassità (estensione articolare ben oltre i limiti umani, ndr). La maggior parte dei giocatori maschi ha un ginocchio varo (che converge verso l’esterno, ndr), non valgo come nelle donne. E ciò porta a una maggiore incidenza di lesioni del crociato nelle donne piuttosto che negli uomini. Fisiologicamente le donne sono quindi più predisposte. Un altro fattore è la forza muscolare: più frequenti sono lesioni in soggetti poco allenati che in soggetti più allenati. Le reiterate partite e allenamenti portano a una fatica cronica per cui la forza fisica non è sufficiente per sorreggere il ginocchio. Ma ogni caso è a sé“.

 

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Non solo uomini, non solo calcio 

Fisiologicamente le donne sono più predisposte“, dicevamo: “Loro hanno un rischio più grande di 2-3-4 volte di farsi male. Non solo calciatrici, ma ci sono atlete in generale che vanno incontro più spesso a un re-infortunio. E non solo nel calcio: si assiste a questo tipo di problema nel basket e nella pallamano. In quest’ultimo, nelle donne, la recidiva è del 57% mentre nel calcio solo del 10“. 

Cura e prevenzione 

Infine, il Dott. Rigo ha parlato di metodi di prevenzione – più che di cura – per far sì che si possano ridurre infortuni del genere: “Negli ultimi anni si è studiata la prevenzione “dinamica”, uno specifica programma prima di iniziare partita e allenamento. Sovraccarico di partite? Se questa sensazione soggettiva corrisponde a una oggettiva realtà, ci troveremmo davanti a una cosiddetta “fatica cronica”. Ma questo è difficile da dimostrare. Mi pare una visione soggettiva piuttosto che un’affermazione che possa avere un riscontro obiettivale basato su studi”.