Raúl De Tomás, gli “schiaffi” per tornare a splendere
L’attaccante dell’Espanyol vive la stagione più prolifica della sua carriera, dopo anni di difficoltà e aspettative disattese
Mettete un filtro bianco e nero su una foto di Raúl De Tomás: sarete convinti di guardare un centravanti degli anni ’50. Il baffo, i suoi modi da bullo, lontani dai miti mediatici di oggi costruiti per stare simpatici, ma soprattutto quel chilo, chilo e mezzo di gel a fissargli la folta chioma dietro la nuca. Lui sostiene di usarne poco, o almeno “meno di quanto la gente pensi”, e che sia tutto un dono della natura. Sarà vero che ha attorno a sé l’aura del giocatore speciale, fuori dagli schemi, ma questo sembra un po’ troppo.
Riprendiamo il gioco di prima. Se la foto che avete scelto prima lo prendeva un po’ di spalle, avrete visto anche la sua “firma” sulla maglia. Il dorso, infatti, non dice Raúl De Tomás, ma R.D.T.. Dai tempi del Rayo, visto che un amico gli disse che una maglia con scritto “R. De Tomás” non se la sarebbe mai comprata. Ecco trovata la formula vincente. Quando Luís Enrique l’ha chiamato, per la prima volta in carriera, ci ha scherzato su: “Allora? Come ti devo chiamare? RDT è il nome o la marca?”.
Fa specie pensare che quella battuta, e soprattutto la prima convocazione, sia appena dello scorso novembre. De Tomás ha ancora 27 anni, non troppi, eppure sembra in giro da molto di più. Sarà che la nomea di potenziale stella se la porta dietro dai tempi della cantera del Real Madrid. Si parlava tanto di lui, Ancelotti l’aveva anche fatto esordire a 20 anni con la prima squadra. Ed è proprio in quel momento che le cose si sono inclinate.
“La cantera del Madrid è una bolla. Mi ero creato delle aspettative, pensavo che sarei diventato un giocatore della prima squadra, un fenomeno. Però c’è altro fuori da quella bolla, e se non hai la maturità che serve per capire molti meccanismi, te ne puoi andare a quel paese come ho fatto io”, ha detto qualche tempo fa a El País.
Non era un professionista fuori dal campo a quei tempi, l’ha ammesso lui stesso. Era bravo, sapeva di esserlo e trattava la vita con spavalderia. Solo anni dopo capì che la classe, l’istinto del gol, il destro, il sinistro e i colpi di testa da soli servono a rallegrare qualche domenica, ma non una carriera. “È quando pensi che avere la qualità sia abbastanza che ti prendi uno schiaffo”.
Di schiaffi, R.D.T., ne ha presi tanti, e su quelli ha costruito una maturità a lenta cottura. Lo erano tutti i prestiti in Seconda Divisione, ogni dimostrazione che il Real Madrid non credesse in lui. L’avevano tolto dal suo quartiere della periferia della capitale perché sapevano che altrimenti sarebbe finito in cattive acque, ma il suo comportamento non arrivò mai a sposarsi con il señorío di cui si vanta il club. Quell’ingresso in campo con Ancelotti in panchina rimarrà l’unico della sua storia in bianco.
Con il gol del fine settimana per il suo Espanyol contro il Mallorca, il conto della stagione è arrivato a 14 reti in 27 presenze. Tante quante ne aveva segnate nella sua miglior annata in Liga, la 18/19 nel Rayo Vallecano, la prima dopo il taglio del cordone ombelicale dalla casa blanca. Sembrava quello il momento dell’esplosione, ma arrivò il Benfica con 20 milioni, un’offerta irrinunciabile per un club che era appena sceso in Seconda Divisione e fu obbligato a trasferirsi in Portogallo. Andò controvoglia, non stava bene lì, di schiaffi ne ha presi altri. Poi, due anni fa, è arrivato proprio l’Espanyol a tendergli la mano. “È stato come rinascere”.
Oggi si avvia alla stagione più prolifica ad alti livelli della carriera (l’anno scorso ha segnato 23 gol, ma in Seconda Divisione). A forza di schiaffi, è tornato sulla via maestra e ha trovato la sua dimensione da eroe della classe operaia. Fa boxe, medita, mangia come un atleta, e punta davvero a soddisfare tutte quelle aspettative disattese lungo la sua carriera di prestiti e cessioni malvolute. A volte perde la testa, fa l’arrogante perché in fondo si sente ancora il “fenomeno” del Castilla, prende qualche rosso di troppo. Prendere o lasciare: questo, a 20 o a 27 anni, è Raúl De Tomás. O meglio, R.D.T., una marca di gol, ribellione e gel per capelli. Tanto, anche se non vuole ammetterlo.