Ragionier Piccolo tra matematica e pallone: “La maglia numero dieci ideale di virtù. Io, genio ribelle”
C’è chi identifica l’essenza del calcio con la maglia numero dieci. Un ideale di fantasia e virtuosismo, del ‘non banale’, dei grandi del passato. Tutto in una cifra, di cui peraltro Giotto, almeno in parte, con la sua concezione del cerchio perfetto è stato un importante premonitore. La dieci, spesso, trascende il concetto di mediocritas e normalità. Dall’oratorio sotto casa al settore giovanile, viene indossata dal ragazzino che se non altro riesce a saltare l’uomo. Tutto in un’idea, non assoluta senz’altro, ma in questo caso è sufficiente la formula giuridica del ‘più probabile che non’. La dieci piace e affascina, in ogni sua declinazione. “Io me lo porto dietro da quando sono bambino proprio per questo, rappresenta questa essenza, un qualcosa di particolare”. Pensieri e parole di Antonio Piccolo, fantasista (appunto) dello Spezia.
Da ragazzino quando l’allenatore gliela consegnava, gli occhi brillavano “perché io il calcio l’ho sempre visto attraverso la maglia numero dieci. E’ il sogno di tutti i bambini, dal primo momento in cui avvicinano il piede al pallone. Ricordo, in questo senso, una frase bellissima di Del Piero quando aveva lasciato la Juventus. Disse, in poche parole, che non sarebbe stato giusto ritirarla proprio per questo motivo: lui era cresciuto con questo mito ed il desiderio di indossarla si sarebbe dovuto tramandare ai più giovani”. Molto chiaro, un po’ metaforico e un po’ romantico. Piccolo e la dieci, storia di un grande amore, tanto per rimanere in tema. “Ma non facciamo allusioni perché in famiglia sono tutti tifosi del Napoli e infatti già si stanno adoperando con voli e cose per andare a Madrid”. L’essenza del calcio, però, è dall’altra parte. Almeno secondo lui: “E’ il dieci del Barça. E’ Leo Messi il dieci per eccellenza oggi. E’ bellezza e completezza, fantasia e virtuosismo. E’ semplicemente un numero dieci”. Continuando l’Eurotur ed evitando – per ovvi motivi – l’ambito Premier…Un salto in Germania, “diciamo che da quando sono più giovane mi paragonano a Robben. Anzi diciamo, mi paragonano un po’ così suona meglio”.
Fiero della sua maglia (numero dieci, chiaro) e del suo cognome, “nonostante le innumerevoli battute e gli sfottò. Ma fanno parte del gioco dai, vivi e lascia vivere. Mi prendono in giro – racconta Piccolo ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – perché non sono altissimo, ma sabato ho segnato di testa quindi…uno a zero e palla al centro”. E pensare che il giorno prima… “Nella rifinitura ho sbagliato, sempre di testa un gol clamoroso e tutti i miei compagni… ‘Sei una pippa di testa’. In ventiquattrore li ho smentiti, peccato per il risultato perché non meritavamo di perdere”. I soprannomi ufficiali, comunque, da buon napoletano sono due: Totò e Tonino… “Dipende dal luogo”.
Napoli lontana, ma sempre nel cuore. E Piccolo vuole dedicare un pensiero particolare alla sua città, alle sue origini sulle note di Pino Daniele: “E’ mille colori, mille sfaccettature. Il mare, il sole, l’affetto della gente. E’ a voce de’ creature, ripenso a quel bambino sempre con il pallone in mano che giocava per strada, non si fermava mai e ne combinava tante, uno scugnizzo in piena regola. Io a dir la verità non sono di Napoli Napoli, andavo lì la domenica e mi sembrava tutto magico, così unico”. Come e più della maglia numero dieci. Come il destino, che spesso è anche benigno e avvera i nostri desideri, basta soltanto chiudere gli occhi… “E fare un gol in più dell’avversario”. Effettivamente non fa una piega. “Ora giocheremo in Coppa Italia al San Paolo e sarà un’emozione incredibile perché per me, se tutto va bene, sarà la prima volta. L’anno in cui il Napoli era in B io giocavo nel Piacenza, ma per un infortunio dovetti saltare la partita”.
Non vede l’ora Piccolo. Vuole rivedere quel fanciullino in strada con il pallone in mano. Giusta ricompensa di un destino che gli è stato fin troppo avverso, a partire da quel grave infortunio al ginocchio a diciotto anni: “Mi è crollato il mondo addosso. Se non avessi avuto mille problemi fisici, probabilmente avrei fatto una carriera diversa. Poi io sono sempre stato un genio ribelle, impulsivo e istintivo. Adesso che è nato mio figlio, però, sto cambiando. E poi io il Napoli non l’ho mai sfiorato, nemmeno un provino. Ho fatto tutte le giovanili alla Salernitana”.
Genio ribelle, definizione importante di quelle che tutto sommato collimano bene con il concetto di diez… “Mi rivedo un po’ nel protagonista del film anche perché sono molto bravo in matematica. Se non avessi sfondato nel mondo del calcio…”. In giro per il mondo, come piace a lui. Che, però, alla diagonale con squadra e righello ha preferito quella col pallone. Allusione non casuale… “Piacere, ragionier Piccolo. Ho il diploma da ragioniere, a scuola andavo bene tranne gli ultimi anni per ovvi motivi…”. Semplici e nobili: il calcio, la maglia numero dieci. E un ideale da coltivare e perseguire. Senza limiti e oppressione, in piena libertà: da vero genio ribelle. D’altronde l’uomo di anima virtuosa non comanda, non obbedisce.