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Piccini e l’infortunio: “Non vivevo più, volevo smettere. All’Atalanta mi hanno affossato”

Un infortunio “mai visto prima in un calciatore”, un calvario interminabile, le delusioni all’Atalanta e il metaverso. La nostra intervista a Cristiano Piccini

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“A Bergamo quasi cadevo in depressione”

A cavallo di quel periodo c’è anche l’esperienza con l’Atalanta. Un prestito cominciato all’inizio della scorsa stagione e terminato prematuramente, con appena 59’ giocati. Piccini non usa parole tenere per ricordare quei sei mesi. Racconta che Gasperini lo volle a tutti i costi, nonostante non giocasse da un anno e il calciatore stesso non si aspettasse di superare le visite mediche: “Non riuscivo a saltare sulla gamba destra”.

“Ma loro mi hanno rassicurato dicendomi che con un mese di lavoro a parte sarei rientrato — continua —. Il primo giorno mi mettono subito a fare lavoro in gruppo, mattina e pomeriggio. Quarto giorno, ginocchio gonfio come un pallone. Ero zoppo. Lo mostro all’allenatore e mi dice che non potevo allenarmi, che avevano sbagliato a prendermi. Io venivo da un infortunio gravissimo, avevo bisogno di sentirmi aiutato, e invece mi hanno affossato. Dopo una settimana ero già fuori rosa per un motivo per cui io non potevo fare nulla”.

Il racconto continua e lo fa anche con più forza e con accuse dirette (non su Gasperini: “contro di lui non ho assolutamente nulla”), che meriterebbero sedi più opportune per essere discusse. “Come essere umano venire trattato così è la cosa peggiore che ho sofferto in tutta la carriera, peggio dellinfortunio. Quasi cadevo in depressione”, conclude.

Il metaverso di Piccini

Mentre meditava su un possibile ritiro, però, Piccini aveva già immaginato la sua vita oltre il calcio, il suo piano B. “A tre settimane dall’operazione, alle quattro di notte, preso dall’effetto della morfina ero lì che volavo sul letto e mi si è accesa la lampadina: avrei creato un centro commerciale, ma tutto nella realtà virtuale”. Così ha svegliato di soprassalto la moglie, le ha raccontato l’idea che avrebbe affinato con degli esperti e creato Rine, la sua azienda che oggi “sta avendo i primi successi”, fra visori e NFT. Insomma, Zuckerberg, complimenti per il metaverso, ma l’idea era di Piccini. “Ora va di moda, ma io c’ero da prima”, sottolinea serio.

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Nuovo inizio

Per tornare a “sentirsi un calciatore”, però, non c’è stato bisogno di migrare ad una realtà parallela. Se nelle precedenti due stagioni aveva giocato solo 123’, in questa è già a quota 316’ in sette incontri. Nel mezzo, anche un gol, quello contro l’Elche, che ha segnato la sua “liberazione” dalle catene dell’infortunio. I giorni successivi, un po’ meno. Lui ci scherza su: “Ovviamente sono stati pieni di chiamate o rotture di scatole. Quando le cose vanno male non ti caca nessuno, ma appena sei sulla cresta dell’onda tutti amici e parenti”. Scherza, sì, ma manco troppo. È orgoglioso Piccini, se non si fosse capito.

Fra le chiamate, anche quelle di qualche squadra interessata, che non nomina. Il suo contratto scade a fine stagione e, gli facciamo notare, può firmare con chi vuole. “Posso firmare con chi mi vuole”, corregge. Effettivamente, lui rinnoverebbe volentieri con il Valencia: “Sarebbe il mio obiettivo, ma in società non hanno queste intenzioni. Dovrò guardarmi intorno, a malincuore, perché Valencia e casa mia e qui tornerò dopo il calcio”.

Guardando al presente, se giocherà oggi contro il Real Madrid, avrà il compito di contenere Vinicius, che ha cominciato la stagione regalando mal di testa a ogni suo avversario. Come si marca uno così? Si può? “Ma sì che si può, dai…”, sbuffa accennando un sorriso. “Ho giocato contro grandissimi campioni, contro Neymar, Messi, Ronaldo, e non li ho mai sofferti più di tanto. Potrò rendere la vita difficile anche a Vinicius”. Una sola frase per entrare nella sua testa, quella che gli ha permesso di superare un infortunio insostenibile per chiunque. Tranne che per Piccini.