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Piacere, il mondo di Dioussé: “Babbo cameriere, io tifavo Inter e sognavo l’Italia. Empoli una famiglia, grazie Sarri”

La prima cosa che colpisce di Assane Dioussé è il sorriso, incondizionato. Sorride a chiunque e per qualsiasi cosa, sembra il tipico ragazzo che non si arrabbia mai. E poi colpiscono gli occhi, così come l’abbraccio con cui fa sembrare che vi conosciate da una vita, come fossi un fratello. Eppure a casa ne ha già altri cinque di fratelli a cui pensare (uno più grande, quattro più piccoli), ma mentre parla ti dà l’impressione di aprire le porte della sua vita. E dei suoi ricordi, senza imbarazzo. Addosso felpa e pantaloncini corti, ma lui – senegalese nato a Dakar e amante del mare – il freddo non lo sente comunque. Tra poco un altro allenamento del suo Empoli verso il derby contro la Fiorentina e lui è già pronto. Quasi sempre tra i primi, uno di quelli che a giocare si diverte per davvero. Di Dioussé colpiscono anche la voglia di scherzare e l’italiano, imparato in sei anni anche grazie a Nino La Rocca, il tutor che l’Empoli gli ha affiancato al suo arrivo. “Fondamentale per me, è stato come un padre”, racconta Assane a gianlucadimarzio.com. In fondo in ogni famiglia c’è bisogno di un padre e l’Empoli per me è come una famiglia davvero”, lo è da quando “sono arrivato, andavo a scuola, ci aiutavano a studiare e dormivo nel convitto”. Suo padre invece, quello vero, di mestiere fa il cameriere a Forte dei Marmi. “Babbo” (perché l’italiano Dioussé lo ha imparato in Toscana) vive con gli altri fratelli a Crocetta (provincia di Massa), mentre Assane sta da solo ad Empoli. Una casa vera e propria, niente più convitti. Di anni ne sono passati 6 e lui adesso ne ha 19: classe 1997, ancora un ragazzino che intanto ha già esordito in Serie A e attirato le attenzioni delle grandi. Ma lui non ci pensa, “logico che faccia piacere ma finché non mi chiamano a firmare non mi interessa. Non lo chiedo neanche al mio procuratore… quando arriverà il momento me lo godrò. Sono sempre stato uno abituato a credere in se stesso, convinto che il lavoro alla fine paga sempre”.

In Italia arrivò nel 2010, con lo stesso sorriso di adesso e con il pallone già nella sua vita perché “da sempre ho sognato di arrivare in alto come calciatore, è sempre stato un mio obiettivo. E ora ci sto riuscendo, anche se devo fare ancora molto”. Quel viaggio della sua speranza arrivò grazie proprio a papà Mombay, che 19 anni fa – con Assane appena nato – scappò dal Senegal per un torneo di calcio a Parigi con lo Jaraaf, la squadra con cui si era preso pure la Nazionale. Doveva rimanerci tre giorni, ma non fece più ritorno. Arrivò in Italia: prima Pisa, poi Seravezza. Ora lo hanno raggiunto moglie e figli. Tutti appassionati di pallone. E grazie a lui, ormai, Dioussé del calcio ne ha fatto pure una professione. Nel 2010, infatti, Assane arrivò in Italia per merito di papà Mombay che vendeva collane ed artigianato senegalese al mercato a Lido di Camaiore : “Tutti in Senegal gli chiedevano di portarmi in Italia, lui ha preparato i documenti e mi ha fatto arrivare qua. Non potevo giocare da nessuna parte però, non mi facevano tesserare. Un suo collega mi ha portato in una squadra per fare un provino, ma potevo soltanto allenarmi. Poi un giorno mi ha visto un osservatore dell’Empoli ed eccomi, sono ancora qui”. Regista, metronomo. Con Giampaolo l’esplosione e poi la panchina, che “mi è servita perché quando non giochi capisci tante cose. Ci vuole esperienza, lo scorso anno sono calato ed ho imparato molto. Dobbiamo restare sempre concentrati, quest’anno mi sto ritrovando tutti gli insegnamenti dell’anno scorso”. Con Martuscielloho ritrovato la condizione e voglio mantenermi così fino alla fine”, ma con Sarri è arrivata “la telefonata più bella”. Quella con cui l’allora allenatore dell’Empoli lo chiamò per allenarsi con la prima squadra: “Mi ha portato lui qui, per me era un sogno. Posso solo dirgli grazie, quando mi chiamò fu bello, bello, bellissimo”. Ripetizione che gli perdoniamo e gli perdonerà pure Sarri, da cui Assaneha imparato molto perché ha avuto la pazienza di aiutarmi tanto”.

Idoli pochi, forse solo i grandi classici. Perché in Senegal da piccolo “vedevo Messi, Ronaldo e quelli lì che fanno sempre la differenza ed è normale che ti piacciano”. Modelli? Nessuno, “perché ho sempre giocato per strada dove non c’erano ruoli e pensavi solo a divertirti”. La sabbia, la polvere, i palloni da inseguire e riprendere per le strade di Dakar. La maglia numero 8 perché “mi è sempre piaciuto e mi ha dato sensazioni positive”, partitelle “con quella dell’Inter che babbo mandò dall’Italia e per la quale ho sempre tifato nerazzurro”. Curioso per lui che poteva finire al Milan. Sorrisi e gol, con gli amici. Quelli che “ogni anno vado a trovare perché con loro mi divertivo, in Senegal ho ancora tante persone a cui sono legato oltre ai miei zii ed ai miei nonni”. Ed il Senegal gli è rimasto dentro, lo si sente ad ogni risposta e lo si vede in ogni sguardo. Lo si sente pure sulle sue playlist, rigorosamente hip-hop: musica senegalese o musica religiosa, o semplicemente musica: “La cosa che mi piace di più al mondo, la ascolto in continuazione”. E poi gli amici, e i compagni di squadra: “Un gruppo fantastico che mi ha trasmesso tanto, ma se devo sceglierne uno solo dico Saponara: un ragazzo speciale”. Per andare in Nazionale come papà Mombay, che del calcio senegalese era una promessa, darebbe di tutto, ma sa che “è difficile che mi chiamino per la Coppa d’Africa se non lo hanno fatto per le qualificazioni”. E poi… “Non sarebbe neanche giusto per gli altri. Dico sempre che ho tempo e strada da fare prima di andare in Nazionale, devo recuperare quello che avevo perso l’anno scorso”. Ride, Dioussé. Con gli occhi e con il cuore, che si spalanca quando gli chiediamo cosa darebbe per il primo gol in A, magari nel derby: “Eh sarebbe un’emozione bella, ma beeeeella bella bella”. Come quando “babbo” lo ha chiamato dopo Napoli-Empoli. Dioussé si era ripreso il centrocampo azzurro, papà Mombay la vita. Rischiava di morire annegato con la macchina in un sottovaso di Marina di Carrara, si è salvato grazie al padre di un compagno di squadra di Papi, il fratellino di 8 anni che gioca nell’Empoli e fa l’attaccante: “Mi ha telefonato, non sapevo niente. Mi ha detto che stava bene, mi ha raccontato quello che era successo mentre stava andando a prendere mio fratello. Gli faceva male solo la caviglia, ma mi ha tranquillizzato subito”. Poteva finire in tragedia, perché il nubifragio che aveva colpito la Toscana il 30 ottobre poteva togliere alla famiglia Dioussé il suo riferimento. Avrà ripensato alla sua “squadra di calcioMombay mentre chiamava i soccorsi e si toglieva le scarpe mentre l’acqua sopra oltre la cintura. Poteva finire male, eppure neanche la paura ha tolto il sorriso ad Assane. Un ragazzo speciale. con il Senegal dentro e l’Empoli negli occhi. Forse un futuro campione, sicuramente un futuro uomo a cui non si può non voler bene.