Questo sito contribuisce all'audience di

‘Per amore, solo per amore’. Il presidente Marco Gatti racconta il suo Piacenza: “Sei anni fa una pazzia che rifarei un milione di volte…”

Un po’ chiusa, inizialmente diffidente. Poi affabile e piacevole. Difficile e multiforme. Poi leggiadra e permeante. Eccola qua, Piacenza, in una metonimia sottile che ben esplica lo spirito del piacentino. Industrioso, testardo, pragmatico. Attaccato in maniera granitica alle proprie origini, alla propria terra, malgrado quelle spire di aperture che con forza propulsiva le vicine Torino e Milano provano a esercitare. ‘Mac manda, però, Piacenza è Piacenza’. In dialetto stretto, espressione fiera di storia, cultura e tradizione. Quella stessa di cui troppo spesso, in nome di una non meglio precisata globalizzazione, tendiamo a dimenticarci.

“E’ una città provinciale. Con i suoi pregi e i suoi difetti. Più pregi che difetti, per me è la migliore del mondo”. Pensieri e parole di Marco Gatti, presidente del Piacenza Calcio (nono in classifica a quota 35 punti, piena zona playoff, nel girone A di Serie C). E, soprattutto, piacentino doc. Vive Piacenza in ogni sua declinazione: nello sport, nella socialità. In tutto. Insieme al fratello Stefano, peraltro co-presidente (carica onoraria, in pectore) dei Lupi, il soprannome del Piace rivendicato con orgoglio sincero: “Quando i giocatori vengono qui, dico sempre loro che purtroppo – o per fortuna – dovranno aver a che fare con due presidenti (sorride)”. Parole appassionate, una traslitterazione chiara di un qualcosa di interiore che nacque anni e anni fa… “La passione per questa unica maglia della mia vita nasce a due anni di età. Già all’ora, mio papà mi portava a vedere le partite del Piacenza. Una passione che, man mano, è germogliata, è cresciuta sempre più. Si è evoluta, ma nel profondo è rimasta sempre della stessa, unica intensità. Dai 15 ai 23 anni mi autodefinirei un ultras, andavo in curva. Poi sono passato alla tribuna. Il minimo comune denominatore, però, è sempre lo stesso: l’adrenalina prima dei novanta minuti, i lunedì di delusione quando si perde, la gioia indescrivibile nel vincere un derby”.

L’emozione autentica, sincera. Quella valoriale. Ma valoriale nel senso più aulico che a locuzione siffatta possa attribuirsi, nell’epoca delle emozioni (a)valoriali: quelle dei soldi. Un attaccamento virtuoso, sconfinato, che sei anni fa, per amore della loro unica maglia e di una città, al di fuori della quale non potrebbero immaginarsi (a loro ammissione), i fratelli Gatti hanno deciso di tramutare in… Una pazzia che rifaremmo altre dieci milioni di volte! Sei anni fa – racconta Marco Gatti ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – abbiamo deciso di rilevare il Piacenza Calcio dopo la triste pagina del fallimento. Avevo una società dilettantistica prima, ma quando ho visto che a questi colori si stava avvicinando gente che non mi piaceva, ho deciso – insieme a mio fratello – di scendere in campo. Non potevo rimanere indifferente alle richieste dei tifosi, quelli stessi con i quali magari ero cresciuto proprio in curva alla domenica…”.

Il Piacenza dei fratelli Gatti riparte, dal nulla. Senza strutture, senza logo, tra la disillusione di una piazza pronta ad amarti alla follia, ma solo dinanzi a fatti e prassi, che negli anni precedenti all’era Gatti eran abbastanza mancati. Riparte dall’Eccellenza. Dalla provincia, dai campi nei quali trovar un ciuffo d’erba è utopia. Riparte dalla passione di chi c’è sempre stato, “di quello zoccolo duro di 1.500 piacentini doc che seguono il Piace ovunque. Nella gioia e nel dolore. In casa e in trasferta. Poi ci sono gli occasionali, che vengono solo quando si vince o si giocano i derby. Purtroppo a Piacenza non c’è quell’attaccamento che, ad esempio, hanno i bergamaschi nei confronti dell’Atalanta”. Dall’Eccellenza alla Serie D il primo anno. Tre anni di D, poi il record straordinario di 96 punti in una stagione e la promozione in Serie C di due anni fa. Il resto è storia recente. Sacrifici ed emozioni, in perfetta simmetria. Per amore, solo per amore.

“La famiglia Gatti non ha alcun tipo di ritorno economico dal Piacenza. La contribuzione è bassa, il botteghino è quello che è, gli introiti lasciamo perdere. E anche da un punto di vista meramente aziendale, la nostra società siderurgica, lavora principalmente al di fuori del tessuto economico piacentino, motivo per il quale non si può nemmeno asserire che vi sia un guadagno dal punto dell’immagine. La nostra è passione e basta. Per la nostra città, per le nostre tradizioni, per i nostri splendidi colori…”. Quintessenza di sincerità e attaccamento virtuoso alla propria terra. E’ tutto qui, nelle parole del presidente Marco Gatti. Che, prima di salutarlo, regala ai tifosi un’ultima promessaCe la metterò tutta per portare il Piacenza in una categoria più importante. Se lo merita la città, se lo meritano quei 1.500 tifosi che ci sono sempre stati e ci saranno sempre…”. E, lasciando da parte la pur comprensibile scaramanzia, in luogo dell’ultima promessa – correva l’anno 2016… Festeggiammo in quel di Mappello la promozione in Serie C. In un piccolo stadio di 800 posti in provincia di Bergamo, invaso dai famosi 1.500 piacentini. Uno dei giorni che ricordo sempre con maggior passione…”.

La passione, appunto. Key word nel mondo dei Lupi. La passione dei presidenti Marco e Stefano Gatti. La passione di una società che, sei anni fa, non poteva nemmeno affibbiarsi il sopracitato soprannome (non aveva nemmeno il logo). Sembrano ricordi lontani nel fagocitante presente. In un mondo, non solo quello calcistico, nel quale molto spesso siamo portati a guardare solo e soltanto avanti, solo e soltanto al generale. Mai al passato, mai al particolare. Mai alla peculiarità delle nostre radici, delle nostre tradizioni. Peculiari, appunto, e insostituibili nella loro unicità, quella stessa che nemmeno il futuro potrà mai fagocitare. Peculiare come il Piacenza Calcio, la cui forma mentis è proprio quella di un’intera città…