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Pepito Rossi, dal Parma al Genoa: alla ricerca di una serenità sfuggente

Prospettive di vita differenti: “Non sono un personaggio da tv, sono solo me stesso”. Solo Pepito. Esempio e guida:La lealtà è la cosa più importante”. Come le decisioni, gli obiettivi, le priorità. Una sola per lui: trovare la serenità. Anti-movida: “Non mi ha mai distratto”. Anti-discoteca. Anti-personaggio da copertina: “Sono molto credente, appena riesco vado a Messa”. Amen. Pepito era così 10 anni fa e continua ed esserlo anche adesso, maturo e sincero. Alla ricerca di una “pax calcistica” vissuta solo a sprazzi, in attimi di calcio puro dipinti col mancino. Metà&metà di una carriera: da un lato il sorriso per un gol, una giocata, o la prima doppietta in Nazionale. Il sogno di papà di vestire l’azzurro. Dall’altro una lacrima per l’ennesimo infortunio, per quelle ginocchia che non gli hanno mai dato alcuna tregua, anzi. In realtà si sono sempre ribellate alla sua pace. Serenità errante. “Colpevoli” di avergli precluso una sfilza di possibilità offuscandone il talento. Esempi pratici: nel 2011 segna 34 gol col Villarreal e sfuma il trasferimento al Barcellona, qualche mese dopo si rompe il crociato al Bernabeu. Una triste normalità. Ginocchia nemiche e mai alleate, traditrici da sempre, dal primo stop nel 2007 all’ultimo di 7 mesi fa, sei giorni dopo la prima tripletta in carriera col Celta Vigo.

SFORTUNATO NELLA FORTUNA

Giuseppe Rossi si può riassumere così: sfortunato nella fortuna, la Storia pontifica ma lui la scaccia via coi buoni propositi: “La cosa peggiore che tu possa pensare è quella di essere perseguitato dalla sorte”. Positività in primis. E voglia di ricominciare. Stavolta Rossi riparte da Genova e lo fa con un volo da New York. “Born in the USA”. A 12 anni arrivò a Parma “senza parlare bene l’italiano”. Merito di papà: “Mi disse di provarci”. Oggi Fernando non c’è più, Pepito indossa il 22 in suo onore e ogni volta alza le braccia al cielo, come Kakà. Stavolta riparte e dà uno sguardo al calendario: 17 dicembre, Fiorentina-Genoa. Il gate d’imbarco può aspettare. Casualità, destino, i ricordi di chi ha toccato la punta dell’iceberg e il fondo del barile. Di un gol dopo 500 giorni d’astinenza e un ultimo allenamento nell’anonimato, con appena 15 tifosi viola. Quattro istantanee di Giuseppe Rossi, nel bene e nel male. Lui. Tripletta alla Juve per entrare nella storia, una salsa speciale al ristorante per lasciare il segno anche in cucina. E uno scontro con Rinaudo per ricordare a tutti che la ribellione non dorme mai, si annida furtiva: incubo ricorrente di un sogno agrodolce. Un po’ come i Mondiali brasiliani, sfumati all’ultimo per un “no” di Prandelli nonostante il recupero lampo e l’ingresso nei 30 pre-convocati. Sfuma il sogno di papà, l’obiettivo di Giuseppe bambino, uomo deluso.

OTTIMISMO E POSITIVITA’

Qualcuno l’ha definito il “più grande talento mancato del nostro calcio”. Forse doveva andare così, era scritto. Maledetta sfortuna, maledette ginocchia. Ma lui ha sempre risposto con positività e coraggio, facendo leva sull’ottimismo. Anche dopo l’ultimo stop: “Bene, eccoci qua. Un altro ostacolo da superare”. 30 anni di pace sfiorata, da ritrovare in modo stabile e continuativo. Magari al Genoa, in quel Ferraris dove una volta segnò una doppietta. Pepito Rossi non segna in Serie A dal 18 maggio 2014, c’erano Montella e Pizarro. C’erano Obama e Matteo Renzi. Sono passati 1291 giorni e più di tre anni, altri due infortuni e la (solita) sfiga. Poi le avventure in Liga, un nuovo Presidente del Consiglio, Trump alla Casa Bianca e due figuracce Mondiali. Ma lui è sempre lì, sorridente e ottimista, pronto a ripartire ancora da zero. Ancora dal basso. Alla continua ricerca di una serenità sfuggente.