Cento volte Pellissier: quando il silenzio è la virtù dei forti
Dicono che la calma sia la virtù dei forti. Giusto, giustissimo. Ma se fosse il silenzio, invece? Dubbio: “Sai che forse…”. Forse sì. Perché è in silenzio che si diventa grandi, leader. “Forti”. Ed è sempre in silenzio che una favola diventa mito, storia da raccontare. Cognome un po’ francofono: “Pellissier”. Valdostano doc con la madre sarda: “Originaria di Lodè, ricordo ancora la casa di mia nonna”. Papà di Nus, paese vicino Aosta, proprietario di una macelleria. Ma Sergio cresce a Fenis nella squadretta del quartiere: “Feci un provino, non toccai una palla e… venni preso!”. Amante di quei monti, discreto sciatore: “E’ la mia terra, non dimenticherò mai da dove vengo “. E una storia scritta in silenzio, mai a voce alta. Piacere, Sergio Pellissier: cento gol in A con la maglia del Chievo Verona (come Gila, Totti, Cassano, Quagliarella e non solo).
“Una seconda pelle!”. Record, sorrisi, traguardi (461 presenze totali, 126 reti). Oggi contro il Palermo e fuori casa, col solito guizzo da volpone. Goldaniga sbaglia, lui non perdona. Buffon, ricordi? Tripletta magica a Torino: “Uno dei giorni più belli della mia carriera”. Stavolta l’urlo è forte, le braccia larghe. C’è anche un “grazie” sussurrato a voce bassa, tra la folla, come piace lui. Ripensando a quando Lippi lo convocò in Azzurro, contro l’Irlanda del Nord. Pellissier? “Presente”. E che soddisfazione: “Un altro mondo! Avevi tutto, pure il giornale la mattina. Ce n’erano 30, col Chievo dovevo andarmelo a comprare”. Paradiso all’improvviso… con gol. Dal nulla, in silenzio, girando la palla col sinistro: “Grazie, è stato bello”. Lì sì, ma anche ora non è male: 126 squilli con una sola maglia, dal primo contro il Parma all’ultimo di ieri. Vittima preferita? La Lazio, 7 schiaffi. Svariati partner d’attacco poi: Cossato, Corradi, Tiribocchi, Bierhoff, Paloschi. Tutti al servizio di Re Pelo: “Ma il più bello è quello che devo ancora segnare”. Guai a chiamarlo finito: “Finché sto bene, gioco”. Parole sue. Un’icona, Pellissier. Uno che piace alla gente per la sua spontaneità, acclamato e rispettato anche dai tifosi di altre squadre. Antieroe moderno, più Rocky che James Bond. Un grande combattente, ma al tempo stesso semplice. Lo riconosci dalle piccole cose, tipo la scelta del numero 31: “Tutti gli altri erano occupati”. Una bandiera, bomber di una generazione in estinzione, un punto di riferimento da circa 15 anni. Nel Chievo, in Serie A, pure al fantacalcio. Simbolo. E quando glielo dicono gli scappa anche un sorriso: “Io come Maldini? Mi viene da ridere dai…”. Esempio di umiltà. Per capire: “In due aggettivi, come ti descriveresti?” E lui: “Generoso e gentile”. Valori da trasmettere ai suoi figli: “I miei primi tifosi insieme a Michela, mia moglie”. Conosciuta a Ferrara, durante il prestito alla Spal, quando lei faceva la cameriera in un ristorante dove Sergio pagava in buoni pasto. Scintilla fu. E oggi il ristorante ce l’hanno loro: “Si chiama Porto Alegre, è una nuova avventura”. A 37 anni si pensa anche al futuro.
Pellissier non è un personaggio da copertina, raramente strappa titoli da prime pagine. E’ uno tranquillo (in campo, come nella vita). Non segue le mode, non usa i social network e ha preferito legarsi al Chievo piuttosto che giocare altrove. Vedi Napoli e poi rifiuti: “C’era una proposta, ma sia io che Campedelli abbiamo detto no”. Già, il presidente. “Se smette lui, smetto anch’io” aveva dichiarato il patron di Paluani. Legatissimi i due. Legge poco Pellissier, ma ama guardare i film di Terence Hill: “Mi fanno ridere, lo inviterei anche a cena”. Capitano prima, capitano ora. E quante ne ha viste: l’Europa con Delneri, la Champions post-calciopoli, la retrocessione, la Serie B come “punto più basso della mia carriera”, la promozione in A, infine la panchina: “Quanto ho sofferto a star fuori”. Poi la rinascita, le 400 presenze e i 100 gol in A. Tutto in provincia, lontano dai riflettori. Tutto con la maglia del Chievo. E tutto in silenzio, segreto e virtù di Sergio Pellissier.