Paolo Guerrero salta il Mondiale: la maledizione dei 9 sudamericani
Paolo Guerrero non parteciperà a Russia 2018. Era un verdetto nell’aria, confermato dalla Commissione Disciplinaria della Fifa: l’assunzione di cocaina costerà al Depredador un anno di calcio, ma soprattutto quello che verosimilmente sarebbe stato il suo primo e ultimo Mondiale. Un numero nove iconico della sua nazionale, come tanti altri attaccanti sudamericani che hanno dovuto rinunciare a un Mondiale nel corso degli anni. Quasi una maledizione.
Negli ultimi tempi, l’assenza più dolorosa e sofferta a livello sportivo è stata quella di Radamel Falcao a Brasile 2014. Dopo l’esplosione a livello europeo con l’Atlético Madrid, che lo rese uno dei primi tre centravanti a livello mondiale, Falcao aveva scelto l’ambizioso progetto del Monaco per proseguire la propria carriera. A fine gennaio 2014, in una partita di Coppa di Francia contro lo Chasselay, si ruppe il legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Provò in tutti i modi ad essere presente in Brasile, ma non ci fu nulla da fare. Per José Pékerman, il giorno in cui diramò le convocazioni della sua Cafetera, che avrebbe poi trovato in James Rodríguez il proprio punto di riferimento, fu il più triste della sua era da allenatore della Colombia.
Un altro crociato è la causa che, con grandi probabilità, impedirà a Darío Benedetto di andare in Russia. Una media gol mostruosa con la maglia del Boca Juniors gli permise di ottenere da outsiderun posto da titolare nell’Argentina, ma il legamento rotto contro il Racing, dopo poche giornate di Superliga, potrebbe costargli carissimo: il centravanti a cui dovrà richiedere indietro la maglia è Gonzalo Higuaín. Un nueve argentino bloccato da un infortunio: oggi il Pipa, vent’anni fa il Valdanito.Hernán Crespo si strappò a una coscia durante un Lecce-Parma, riuscì comunque a presenziare a Francia ’98 ma partì da riserva e si infortunò nuovamente calciando il rigore contro l’Inghilterra, parato da Seaman.
Allo stesso Mondiale, ma con la maglia del Brasile, non poté partecipare Romário. O Baixinho non riuscì a recuperare da un infortunio e Zagallo chiamò Bebeto al suo posto: un affronto quasi personale, per il fenomenale centravanti della Seleção, che si rivoltò contro il suo Ct. Negli ultimi Mondiali fu proprio il ruolo di centravanti a non essere coperto a livello delle altre posizioni offensive, in Brasile: dopo le uscite di scena di Adriano e Pato, Diego Costa sembrò il numero nove più valido per riempire quella lacuna. La sua esplosione si consumò nell’anno precedente a Brasile 2014, ma Felipe Scolari preferì puntare tutto sul gruppo con cui aveva affrontato le qualificazioni, con Fred come centravanti. Diego Costa, dal canto suo, non volle guardare la manifestazione dal divano e si fece naturalizzare spagnolo, pur trovando poca fortuna nel torneo.
La nazionalità di Luis Suárez, invece, come quella di tutti gli uruguaiani, non solo non è mai stata in dubbio, ma veniva prima di qualsiasi altro fattore. Benessere fisico compreso. Nel 2014 si operò al menisco in tempo record e partecipò al Mondiale, che non avrebbe lasciato per nessun motivo al mondo.
Molto più controversa la questione che seguì la mancata convocazione di Cuauhtémoc Blanco a Germania 2006. Ricardo La Volpe, allora Ct del Messico, è tornato recentemente sull’episodio attraverso il proprio account Twitter, ribadendo il concetto che il gioco collettivo precede l’individuo e Blanco non si integrò mai con il suo 5-3-2, che richiedeva un’altra dose di sacrificio in ripiegamento. Una scusa, secondo l’attaccante escluso, che accusò La Volpe di averlo lasciato a casa per portare al Mondiale suo genero Rafael García.
Restando in zona Concacaf, la Costa Rica di Jorge Pinto fu la vera rivelazione di Brasile 2014. Una squadra di cui non poté far parte l’amatissimo Álvaro Saborio, che si fratturò un piede poco tempo prima della competizione. Una delusione forte, non comparabile alle due tragedie che colpirono l’Ecuador e lo costrinsero a piangere due suoi attaccanti della Tri: Otilino Tenorio e Christian Benítez. Il primo rimase ucciso in un incidente stradale e, a Germania 2006, venne ricordato da Iván Kaviedes che imitò la sua esultanza con una maschera gialla dell’Uomo Ragno, in seguito a un gol proprio contro la Costa Rica. Chucho, invece, se ne andò portato via da un arresto cardiaco, nel luglio 2013. Era uno degli insostituibili di Reinaldo Rueda, ma lo era soprattutto nel cuore degli ecuadoriani, dal quale non uscì e non uscirà mai.
Salvador Cabañas, invece, non perse soltanto un Mondiale, ma anche la carriera e tutti i suoi beni. Era uno degli attaccanti più importanti dell’Albirroja del Tata Martino e un idolo del Club América, quando si consumò l’episodio che gli cambiò la vita: in un bar di Città del Messico, rimase ferito alla testa da un colpo di pistola. Accadde nel gennaio 2010, a pochi mesi dal Mondiale in Sudafrica. Non giocare la Coppa del Mondo con la maglia del Paraguay era l’ultimo dei problemi di Cabañas, che dopo aver schivato la morte incolpò la propria ex moglie di avergli sottratto tutti i suoi averi, prima su tutti la sua lussuosa villa di Asunción. Dopo qualche tentativo di ritorno in campo in squadre nazionali di secondo piano, dovette ripartire da un lavoro nella panetteria dei suoi genitori.
Federico Raso – Tre3Uno3