Pannitteri: “Ho iniziato per strada, ora segno con la Vis Pesaro”
La nostra intervista a Orazio Pannitteri, attaccante della Vis Pesaro, tredicesima nel girone B di Serie C. Gli inizi per strada, i problemi fisici e quei 1000 km di auto per arrivare al provino…
Pochi giorni fa Orazio Pannitteri, esterno classe ’99 della VIS Pesaro, ha segnato il suo primo gol in Serie C. Corsa sulla fascia, dribbling, mancino perfetto all’angolino. Glielo ha sempre ripetuto suo padre Ciccio, ex bomber di Catania e Siracusa tra le altre, 200 gol in carriera: “se la piazzi bene, non serve la potenza”.
Evidentemente il calcio, da quelle parti, è materia di famiglia. Orazio inizia a 4 anni nella scuola del paese, Paternò: “Ricordo il primo allenamento: stringevo il mio pallone di Topolino, non sapendo ce ne fossero altri… Mio padre poi mi convinse a lasciarlo”. Un’infanzia passata assieme a quel pallone, perfino in strada, vicino alla casa del nonno: “facevamo le porte con gli zainetti, si giocava da muro a muro. A volte la palla finiva sotto le auto e queste dovevano fermarsi. E quante finestre rotte…”.
Lo segue l’Empoli, ma preferisce restare vicino a casa, a Catania. Dove gli anni di crescita nel settore giovanile sono difficilissimi: “Essendo il più piccolo mi superavano tutti. I miei coetanei si allenavano coi più grandi, io mai: pensavo di non essere in grado”. “Picciriddu”, “siccu”. Quello piccolino e smilzo.
Anche troppo secondo la nonna, che per crescere gli ordinava di mangiare molte uova: “Ma una sera scoprii di esserne allergico. Ne mangiai talmente tante da andare in shock anafilattico. Mi portarono d’urgenza all’ospedale. Mi si era gonfiata la trachea, non respiravo più: rischiai di morire”.
Orazio oggi è cresciuto bene, anche senza uova: “Sono un brevilineo, rapido e tecnico. Amo giocare largo a destra e rientrare sul mancino. Amo Messi, mi ispiro a Dybala e Suso. Nelle giovanili mi dicevano ‘Sei bravo, ma troppo leggero per giocare a calcio’.
Da sempre soffro di un disturbo alla schiena che mi rende rigido… Se voglio essere come gli altri devo lavorare più di loro”. Da molti sottovalutato, tra mille difficoltà, “u picciriddu” non ha mai mollato: “A Catania non puntavano su di me, è stata dura: gli allenamenti per me erano come partite… Ai tempi del liceo non tornavo nemmeno a casa per mangiare. Mi sono diplomato con una tesi sul calcio, all’esame ho portato un pallone e palleggiato davanti ai professori”.
Genuino, umile, Orazio è come te lo immagini. Esordisce in Serie D, “dove ho giocato in campi assurdi e visto cose incredibili. Una volta c’è stato uno scontro tra tifoserie, si tiravano pietre ed hanno colpito un giocatore. Quel giorno è entrata in campo anche l’ambulanza…”.
Ora riparte dal professionismo, con la maglia della VIS Pesaro. Una storia bellissima iniziata in maniera incredibile: “Un osservatore mi ha chiamato cinque giorni prima dell’inizio del ritiro. Io e mio padre abbiamo guardato i voli e no… non c’era un aereo che potesse portarci vicino a Pesaro”. Ma ancora una volta, i Pannitteri non si scoraggiano: “Mio padre ha subito preso l’auto, siamo partiti da Paternò. 1000 km, 12 ore di viaggio con 40 gradi. Siamo arrivati di notte, dritti in un B&B. Ho dormito benissimo”.
Possiamo dirlo, un’Odissea contemporanea. Ma finalmente arriva il momento tanto atteso: “Al provino eravamo in 27… che tensione. Si inizia con un torello, ma in mezzo non ci finisco mai: tecnicamente sentivo di starci. Poi i test di resistenza: risulto primo, ma accuso un fastidio proprio prima della partitella finale. Segno un gol, gioco bene: ho pensato ‘sì, stavolta mi prendono…”.
I primi mesi per ambientarsi in un nuovo universo calcistico: “Non credevo nemmeno di giocare, figurarsi segnare”. Pavan – l’allenatore – però crede molto nel suo numero 7, tanto da provarlo in diversi ruoli: seconda punta, mezzala, tornante, “ma rendo meglio largo a destra”. Il segreto di questo exploit? Ecco spiegato: “Qui il gioco è più veloce, si addice di più alle mie caratteristiche. Al sud i campi sono quasi tutti piccoli, sintetici, era difficile persino controllare il pallone”. Ed ora che si è sbloccato, Pannitteri vuole continuare a stupire. Per far ripensare chi non ha creduto in lui, per dimostrare il suo valore dopo anni di polvere e sacrifici. Ma il suo gol è dedicato a due persone in particolare: “I miei nonni. Uno se n’è andato nel 2006, diceva che sarei diventato grande, vorrei fosse qui a vedermi. All’altro invece devo tanto: da piccolo mi portava tutti i giorni all’allenamento con la Panda…”.
Ne è passato di tempo da allora, e Orazio ne ha fatta di strada. Come in quel giorno di luglio, quando un ragazzo sognante percorreva la tratta Paternò-Pesaro: “Ringrazio la VIS per questa possibilità, ora cercherò di sfruttarla al meglio”. Per trasformare una storia in magia, quei 1000 km non sono ancora abbastanza. Ma la direzione di certo è quella giusta.
di Elia Faggion
Credit foto: Filippo Baioni