Pane, Palermo e fantasia: my name is Tanino. Vasari, dal campo a un panificio: “La mia storia, dalla strada a San Siro”
Cento passi, forse meno. La distanza tra il passato e il presente, tra le volate sulla fascia e la gestione di un panificio. Cento passi separano il “Renzo Barbera” da “Caldopane”, il forno aperto da Tanino Vasari. Oggi ha quasi 48 anni, ma ancora gli stessi occhi del bambino uscito dal quartiere Borgo Vecchio. Uno diventato grande con il pallone tra i piedi. “Sono venuto dalla strada, ho fatto il barista, il barbiere, persino il carrozziere”, racconta ai microfoni di GianlucadiMarzio.com. “Venivo da una famiglia umile. Questo posto significa soprattutto dare un futuro ai miei tre figli”. E magari anche ai nipotini, perché Tanino è già nonno. “E tra meno di un mese ne arriva un altro”.
È circondato da baguette, rustici e familiari. Quindici dipendenti, un cambio di vita radicale. Sono lontani i tempi delle fughe in contropiede. Questa ripartenza ha il sapore dei valori antichi e la fragranza delle abitudini semplici. “Così mi hanno cresciuto i miei genitori. Mio padre faceva il barbiere e stravedeva per me. Chiudeva il negozio e mi scarrozzava agli allenamenti. Sognava di vedermi arrivare in serie A. Ci credeva più lui di me. Mille volte ho pensato di smettere, lui mi ha sempre spronato”.
Utopia contro scetticismo. Ferdinando e Gaetano, diversamente Vasari, mano nella mano, un passo alla volta. “Sono partito dalla seconda categoria. San Giuseppe Jato, poi Partinica Audace. Mai avrei pensato di giocare a San Siro”.
Ma se è arrivato lì, il merito è anche di chi l’ha tirato fuori dai campi sabbiosi della provincia siciliana. “Ignazio Arcoleo, il primo allenatore che ha creduto in me. Mi ha portato a Trapani e abbiamo vinto la C2. Quando è andato a Palermo nel ‘95, mi ha chiesto di seguirlo. Per me era toccare il cielo con un dito”.
Il debutto, si sa, è come il primo amore: indimenticabile. Il 30 agosto, il “Palermo dei picciotti”, una squadra di serie B costruita con due lire e tanti ragazzi del posto, travolge il Parma di Stoichkov e Zola. “Vincemmo 3-0. Segnai una doppietta, alzai gli occhi e vidi mio padre felice. Quella notte pianse di gioia”. Una delle sue ultime. Un anno dopo, una malattia se lo porta via. “Gli promisi che avrei portato il Palermo in serie A. Il sogno di fargliela vivere, al primo anno in rosanero, s’infranse contro le scelte societarie. A livello economico navigavamo in brutte acque, il salto sarebbe stato difficile da sostenere”. Primi alla fine del girone di andata, settimi alla fine. Un crollo repentino. Il Paradiso può aspettare, ma gli eventi trasformano quel Purgatorio in un Inferno. “Retrocedemmo e lasciai Palermo”. Un arrivederci lungo sette anni. Lontano dall’isola, su un’isola diversa. Ventura lo accoglie a Cagliari. Lo reinventa centrocampista, trasformandolo nel quinto perfetto del suo 3-5-2. Con lui vince la B e, a 28 anni, debutta in A contro l’Inter, la squadra per cui ha sempre simpatizzato. “Fu una grande stagione. Devo molto al mister, con lui mi sono consacrato ad alti livelli, in un ruolo nuovo. Mi dispiace che oggi venga visto come unico capro espiatorio”.
Contro la Svezia, magari avrebbe fatto comodo un Vasari. O Topolino, come viene ribattezzato in Sardegna, per un disegno stampatogli sulla maglia dal magazziniere. “Ai miei tempi, i giocatori delle piccole difficilmente entravano nel giro. È l’unico rimpianto della mia carriera: non aver fatto neanche una presenza in azzurro”. Neanche nel ‘99 quando fa impazzire Maldini a San Siro e tutti si chiedono da dove esca questo ragazzo.
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(realizzato con Emanuele Ceprani)
Molti si domandano anche perché scelga di seguire Ventura in B nella Sampdoria. Ci resta due anni e mezzo, prima di tornare in serie A in prestito al Lecce. Con i salentini segna i suoi primi gol nel massimo campionato. All’ultima giornata. Una doppietta decisiva per salvarsi, contro la Lazio allenata da Zoff, l’allenatore che non gli aveva concesso la chance azzurra. “Mi scrissero sotto casa dediche emozionanti. Bellissimo, anche se il proprietario voleva farmi ripagare tutto…”. Il ritorno alla Samp, poi la discesa in C a Cesena e, all’improvviso, la chiamata più inattesa. “Ero in Romagna con un contratto importante. Foschi, ds del Palermo, mi chiese se volevo tornare a casa. Ingaggio a gettone. La squadra puntava alla promozione. Pensai a mio padre e accettai subito”. Silvio Baldini in panchina, grande complicità con Tanino. La squadra vola, lui gioca sempre, finché qualcosa s’inceppa. Zamparini litiga con l’allenatore dopo una sconfitta con la Salernitana. Esonero, arriva Guidolin. “Iniziai ad avere meno spazio, ma quello che contava era mantenere la promessa”. Grazie ai trenta gol di Toni e alla leadership di Corini, il Palermo torna in serie A dopo 32 anni. Festa grande, da Mondello a Borgo Vecchio, dove Tanino è come Maradona.
E all’ultima giornata, arriva la ciliegina. “Segnai, finalmente. Il gol del 3-0 contro il Bari. Inutile per il punteggio, fondamentale per la mia anima. Alzai subito il dito al cielo: penso che stesse esultando con me”. Non avrebbe più indossato quella maglia. “La società non rispettò alcune promesse. Ci tenevo a farmi una stagione in A con i miei colori, ma è andata così”. La sua carriera sfuma dopo un paio d’anni nelle serie minori. È la fine e un inizio. Quei cento passi che lo separano dal Barbera non li ha quasi mai percorsi tutti. Il feeling con Zamparini non è mai nato “in spogliatoio mi scambiava con Gasbarroni, negli ultimi anni non mi ha mai cercato. Io resto sempre tifoso rosanero: speriamo di tornare subito dove il Palermo merita di stare”.
Magari dentro Tanino ne soffre, ma accanto a lui ha tutte le persone più care. Dalla moglie Maria, sua compagna da sempre, al figlio Ferdinando, pizzaiolo che ha ereditato il nome del nonno.
Da lassù, forse butta ancora un occhio sul Barbera. E sul panificio. Così vicini, così lontani. Cento passi, forse meno.