Dal barcone a Nola: il sacrificio e la speranza di Omar Gaye
È una calda giornata di agosto. Una di quelle giornate che per chi gioca a a calcio però vuol dire una sola cosa: preparazione atletica. È in una di queste giornate che si presenta Omar Gaye, terzino classe 1998 ora nel Nola in Serie D. Il giovane gambiano ha tutte le carte in regola per poter giocare a calcio ma per la burocrazia le carte, quelle vere, quelle che passano di ministero in ministero, non bastano. Secondo la normativa vigente Omar, extracomunitario, a oggi non può ancora giocare tra i professionisti. Nel suo passato però ci sono Juve Stabia, Viareggio, Afro Napoli, anni a correre su quella fascia sinistra, a servire assist e, all’occorrenza, anche gol (3 nella sua breve carriera).
Preso sotto l’ala protettrice da Francesco Montervino, ex capitano del Napoli, ora ha firmato con il Nola in Serie D. Dietro di sè una storia di sacrifici e di viaggi, di fughe e di stenti, di barconi e di vecchi autobus, una delle tante storie (purtroppo sono molte ormai) che però non puoi fare a meno di raccontare. Con lui Montervino ha un rapporto speciale: "Me ne sono innamorato subito, quando ero alla guida dell'Afro Napoli United lui era già di unèaltra categoria" racconta. "Lo volevano molte squadre professioniste, tra cui Novara, Siena, Sicula Leonzio. Ma non poteva firmare. È un ragazzo speciale, non come tutti gli altri, in giro ci sono tanti furbacchioni, ma lui è diverso, è molto professionale e già fa la vita del calciatore. Si allena molto e prega, fa molti sacrifici, probabilmente ne ha già fatti più di tutti noi. Vogliamo dargli tutto l’aiuto che possiamo".
Mentre Montervino ci parla, Omar è lì, sulla panchina con la testa china, a riposarsi dopo le fatiche della seduta mattutina. La sua storia è particolare, quando comincia a raccontarmela lo fa con molta lucidità, si illumina però quando parliamo di calcio, quando vediamo i suoi video su YouTube. È questo il suo sogno, è questa la sua vita. Prima però una vita travagliata, nonostante la giovane età. Partito dal Gambia con lo zio, con cui abitava, si è ritrovato a viaggiare in giro per l’Africa in bus fino alla Libia. Non sapeva di andare in Italia, lo zio non glielo aveva detto, ma lo ha capito quando la polizia libica li aveva infine incontrati. Un incontro infelice: ci sono degli spari e in molti fuggono, altri muoiono, lui invece scappa con dei ragazzi, si rifugia da un pastore (dove lavorerà e troverà il modo di salire su uno dei tanti barconi), ma non rivedrà più lo zio. “Non volevano che arrivassimo in Italia” ci dice. Per quanto riguarda il Gambia, invece, ci racconta che lì la guerra non c’è ma che al potere c’era un “politico cattivo”. Lo zio è dovuto fuggire dopo un incidente col suo taxi, una storia banale, non tanto però se si pensa che è successa in un paese dove la dittatura provocava uccisioni extragiudiziali e repressioni sommarie, un paese poverissimo che dopo 22 anni di dittatura sta provando a rinascere (il dittatore Jammeh è stato da poco sostituito dalla democrazia di Barrow). Omar lì giocava a calcio, in una scuola con Barrow dell’Atalanta e con tanti altri che ora giocano in Svizzera e Austria. Voleva fare il calciatore ma si è ritrovato su un barcone con 150 persone. Un barcone che lo ha portato a Gela, dove però nel suo soggiorno ha ricevuto da alcuni balordi molte frasi razziste. Trasferitosi a Napoli, ci dice, la situazione è cambiata. Ora sta bene, ha amici e gioca a calcio, anche se a volte, ci confida, non lo fanno ancora entrare in qualche discoteca.
Omar appare sorridente, non sappiamo quanti sacrifici abbia fatto, sicuramente tanti. L’Italia e Nola possono dargli una chance, come hanno fatto spesso con tanti altri ragazzi. È pronto con mister Gianluca Esposito a correre ancora sulla fascia. A correre e sognare. In bocca al lupo.
A cura di Nello Cassese. Foto di Francesco Ruggiero