Donne nel Pallone – In fuga dalla guerra con il pallone in mano: la storia di Ode Fulutudilu
Una storia di rinascita che parte dal Congo, tra le bombe e i fucili dei soldati, e arriva fino al Sud Africa. Una storia ricca di avversità, brutte emozioni e scelte difficili da accettare. Ma che, come nelle migliori favole, si conclude con un lieto fine. Una storia – una bella storia – di sport e di vita, che vede come protagonista Ode Fulutudilu, calciatrice della nazionale sudafricana. Una storia che comincia il 6 febbraio del 1990 a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, nel bel mezzo di una guerra civile.
In quel periodo, la nazione era piegata in due da un conflitto che portò alla morte di milioni di civili e alla fuga di un gran numero di cittadini, decisi a trasferirsi in alcuni dei Paesi limitrofi. Tra queste, c’è la famiglia di Ode, che abbandonò la propria patria nel 1994 per non tornarci mai più. “Uno dei pochi ricordi che ho del Congo riguarda un gruppo di giovani, armati di pistole e fucili, che fece irruzione nel luogo in cui vivevamo e ci costrinse a restare in piedi, con le mani dietro la schiena. E' l’unica immagine nitida che ricordo del mio Paese, dell’insicurezza e della paura che provai”
Appena vennero a conoscenza della possibilità di fuggire in Sud Africa, i Fulutudilu partirono alla volta della Nazione Arcobaleno e, una volta lì, si accamparono in un campo profughi a Cape Town. Le condizioni economiche, anche in Sudafrica, non erano però delle migliori: “Mio padre non riusciva a pagare la retta per la scuola di 50 Rand al mese, l’equivalente di 5 Euro”, racconta l’attaccante sudafricana. La sistemazione nel campo profughi si rivelò, allora, non momentanea: l’intera famiglia fu costretta a viverci per altri sedici anni.
Una svolta netta alla vita – e alla carriera – di Ode è arrivata soltanto qualche anno più tardi, quando un’università statunitense bussò alla sua porta per offrirle una borsa di studio per giocare a calcio e, insieme, iscriversi all'università: “Da piccola il mio sogno era andare all’università, so bene che avere un’educazione mi aiuterà ad avere un futuro migliore – spiega Ode – Il calcio è solo un modo di imparare e ricevere quanto non ho ricevuto dalla scuola, in termini di educazione e di vivere civile”
Da ormai cinque anni, Ode rientra tra le giocatrici convocate nella nazionale di calcio sudafricana. Il suo esordio risale al 2014: il telefono che squilla, la chiamata in entrata da parte di un numero sconosciuto. Ode risponde e – sorpresa! – è stata convocata dal ct della nazionale maggiore femminile. Da quel momento, la sua carriera comincia decisamente a entrare nel vivo. Prima la firma per una squadra semi-professionistica in Sud Africa, poi la chiamata dall'Europa per giocare nel campionato finlandese con la maglia dell’Ons. Infine, lo scorso gennaio, il passaggio in Spagna e la firma con il Malaga: dieci mesi fa, Ode diventava la prima calciatrice sudafricana a firmare per un club spagnolo e a militare nella Primera Division Femenina.
“Quando la notizia divenne ufficiale – racconta ai microfoni di Olympic Channel – ero in Sud Africa, fu fantastico: ogni emittente radio o televisiva parlava di me, tutti volevano intervistarmi. Non potevo crederci!”. L’approccio con il campionato spagnalo è stato positivo, in estate Ode ha preso parte al Mondiale di Francia con la sua nazionale, giocando titolare in tutte e tre le partite disputate dalle Banyana. Dal prossimo gennaio, però, la Fulutudilu tornerà a giocare in Finlandia, ormai una seconda casa per lei, in seguito alla retrocessione in Segunda archiviata con il club andaluso.
Protagonista in campo, sì, ma non solo, da anni Ode si impegna per regalare un sorriso ai meno fortunati, donando magliette e palloni in beneficienza. “Quando non c’è uguaglianza, il mio cuore si spezza: dalla parte di chi soffre so bene che potrei esserci io. Ci sono Paesi che chiudono le loro porte in faccia a chi chiede aiuto, se in passato avessero fatto così con me probabilmente oggi sarei ancora bloccata in Congo, magari persino già morta. Ho vissuto in prima persona certe situazioni, i rifugiati meritano di essere aiutati”. E’ la storia di Ode, la ragazza che ce l’ha fatta, scappata dalla guerra con un pallone in mano.
A cura di Luca Bendoni