Nostalgia, progresso e quel Gerland che non c’è più: cartoline da Lione
Quasi una sentenza: “Quel Lione non c’è più”. Quello di dieci anni fa, quello vero. Imbattibile e indimenticabile. Quello che sfidava la Roma e perdeva: “Ah, Mancini”. Ma che in Ligue 1 era “dividi et impera”. Lo pensano un po’ tutti e c’è un po’ di nostalgia, ma anche entusiasmo: “Fiducia nel futuro!”. Perché gli investimenti ci sono stati e ci saranno. Resta la frenesia di voler vincere. Neanche il Gerland esiste più. Anzi, recap: fisicamente sì, stessa fermata della metro e stessa distanza dal Rodano. Incancellabile. Ma ora si chiama “Malmut Stadion” ed è stato “ceduto” al rugby. Triste non vedere più le porte, quelle in cui Juninho sfornava punizioni da chapeau. Restano piccoli frammenti, dagli adesivi lungo le gradinate ai leoni davanti l’entrata, simboli perenni di un club in espansione. “Gones”. Ora, infatti, c’è il nuovo stadio – il Parc OL – inaugurato prima dell’Europeo e costruito fuori città. Forse anche troppo: “Difficile da raggiungere coi mezzi – ci dicono – di solito si va in macchina”. Ma anche in tram: fermata Decines Large e via a piedi, 10′. Si vede da lontano, di notte si illumina. “E’ stupendo” consigliano i lionesi. E potremmo dire che anche loro seguono il detto che “ogni scarrafone è bello a mamma sua”. Ma in effetti hanno ragione: 60mila posti, 4 store, parcheggi sull’erba (!) e non sul cemento per riutilizzarli come parchi pubblici. Infine un centro di allenamento all’avanguardia dove la prima squadra prepara le partite, tra un campo al coperto e altri 6 intorno a lui. Si allenano tutti lì: Primavera, giovanili e calcio femminile: “Sono fortissime! Vincono sempre”.
Gerland adieu, quindi. “Colpa” di una metamorfosi calcistica che ha radici profonde, salde nel tempo. Perché per vincere bisogna innovare, parola del presidente Aulas. Tipo “particolare, colorito”. Un aneddoto raccolto in loco: in occasioni di incontri ufficiali con presidenti e/o dirigenti di altri club, Aulas vuole solo traduttrici donne. Niente uomini, così “si sente più a suo agio”. Capito, no? Ma l’OL gli deve molto. Tutto. Proprio come al Gerland, polaroid di un’epopea che non c’è più ma che in passato, grazie all’OL, ha scandito i ritmi di una Ligue 1 anch’essa cambiata, mutata. Meglio: adattata allo scorrere del tempo e del pallone. Parola di Spalletti: “Rispetto a 10 anni fa il campionato è molto più competitivo”. Ps: quello del 2007 e del doppio passo di Mancini. Anche “se quel Lione non c’è più”. Juninho, Ben Arfa, Tiago, Benzema, 7 titoli di fila. Ora, al loro posto, tantissimi giovani cresciuti nel vivaio e qualche acquisto che “poteva andare meglio”. Esempio? Yanga-Mbiwa: “Per favore, parliamo d’altro”. Il suo nome non porta nulla di buono: “Ma lo sapete che per i romanisti è una sorta di eroe?” chiediamo (merito di un gol al derby, ovviamente). Ma i “lionesi” non ne vogliono sapere. Meglio Grenier: “E’ forte, ma quanti infortuni!”. Oppure di Grosso: “Un professionista serio”. Non hanno detto nulla del Mondiale e di quel rigore del 2006, ovviamente. Abbiamo sorriso.
Pronostici? “3-1!”. Altri sono più cauti invece. Forse scaramantici, non si sbottonano. In sintesi, si fidano molto della loro squadra e del loro allenatore, bramoso di arrivare in fondo all’Europa League: “Sarà la partita più importante della stagione” ha detto Genesio, bramoso di portare a casa un trofeo che manca dal 2013. Ora gli ottavi e poi chissà, i tifosi glissano le domande. Mentre sul cibo dispensano consigli da ogni parte, molti sicuri: a Lione si mangia bene, punto. Ristoranti ovunque e pure buoni, città giovanile, universitaria, fresca, lungo le rive di un lungo-Rodano tenuto benissimo (pieno di persone che corrono a tutte le ore tra l’altro, nota curiosa). Poi il fiume Saona e la collina di Fourviere, dove i romani fondarono l’antica città di Lugdunum. Da lì si vede tutto, pure il Gerland. All’orizzone, invece, c’è il Parco OL. Tra nostalgia e progresso.