‘Non permettete a nessuno di rubare i vostri sogni!’. Eberini e la ‘magia’ Reggiana: “Qui c’è la mia vita! Quella chiamata mi ha rivitalizzato…”
Viviamo nel bel mezzo di una ‘società esegetica’, nella quale la fattualità ha spazzato via in maniera assolutamente vigorosa quella parte euristica e teoretica che pur ha, in un modo o nell’altro, ha caratterizzato il vivere sociale dell’uomo. Ma questo passaggio non sarebbe nemmeno così negativo se la prassi fosse, latu sensu, rinverdita, rinvigorita e declinata da qualche nobile ideale, da qualche ferreo (e certo!!!) valore. Invece non solo siamo costretti a vivere spasmodicamente la materialità, ma soprattutto siamo incanaglianati in una forma mentis totalmente vuota, avara di contenuti, apatica, senza senso né valore.
Proemio siffatto, in realtà, era funzionale alla posizione di un quesito ben preciso: nella realtà odierna c’è ancora spazio per sognare? E qui mi preme fare un’altra specificazione. Sognare non significa ‘sperare di riuscire a comprare la Ferrari o la Vuitton per Natale’. Sognare significa compiere un delicato sforzo di astrazione, con il quale traslare la nostra mente in una dimensione altra. Una dimensione ideale…e di ideali! Ma se, al giorno d’oggi, gli ideali non esistono più o quantomeno sono stati fagocitati da una non meglio precisata globalizzazione, ecco che – trascendendo ogni interpretazione semplicistica – il quesito di cui sopra si fa ben più problematico della tanto apatica quanto inutile risposta, ‘quando dormo sogno’.
Scendiamo, dunque, a patti con la realtà. Tralasciamo ogni benché minima traccia di sviluppo euristico che tanto rimarrebbe ben vuota negli schermi dieci pollici dei telefonini e procediamo ‘prassi alla mano’. Che poi, realisticamente parlando, per procedere prassi alla mano dovremmo inventare un’etero dimensione nella quale i sogni li possiamo comprare: belli in vendita sugli scaffali del supermercato. Tanto ormai funziona così, più compri più dai un’immagine aulica di te, più il riflesso dell’(apparente) invidia degli altri ti rende (fittiziamente) felice.
“Ho allenato per tanti anni i ragazzini piccoli. Li prendevo sottobraccio, li guardavo negli occhi e dicevo loro pochissime parole… ‘Non smettete mai di sognare. Sognate, sognate, sognate. E non permettete a niente e a nessuno di rubare i vostri sogni’. Debbo dire che, nella mia vita e nella mia carriera, queste poche “righe” sono diventate quasi una profezia. E, sia chiaro, dico vita prima di carriera perché la Reggiana è prima di tutto la mia vita”. Risuonano nel vuoto odierno della materialità ossessiva le parole di Sergio Eberini, allenatore della Reggiana da poco più di un mese.
Una chiamata inaspettata, insperata, sognata da una vita. E’ stato una bandiera da giocatore, poi un’(altra) vita nel settore giovanile e un pomeriggio d’ottobre la magia che diventa realtà. Chissà, se al nostro protagonista gli sarà salita un pizzico di quella sana malinconia che propugnava il grande Lucio… “Mi piace pensare che allenare la Reggiana, in questa fase della mia vita abbia un significato e una declinazione precisa. Mi ha rivitalizzato, mi fa svegliare col sorriso, vado a letto e penso che devo essere felice. Devo essere felice perché sono l’allenatore della Reggiana! Perché quella chiamata ha un significato sociologico e antropologico unico nel suo genere: significa che quando meno te lo aspetti, nella vita capita un qualcosa che ti ripaga di quello che non hai mai avuto”. Parole sincere, caricate da grande sentimento. Bello, bellissimo così in un mondo nel quale per un senso del pudore totalmente soggettivo (magari di quella non meglio precisata globalizzazione) siamo costretti a tener dentro sentimenti ed emozioni. Beh, d’altronde, con sentimenti ed emozioni non puoi comprare né la macchina nuova né tanto meno la Vuitton.
“Io ho cominciato ad allenare a 33 anni. Ho girato tutta l’Italia. Dalla ‘mia’ Lombardia alla Sicilia e alla Sardegna. Ho cambiato tante squadre, in alcune piazze ho fatto bene in altre meno. Ma in cuor mio ho sempre avuto questo sogno che tenevo ben riposto nel cassetto: un po’ per scaramanzia un po’ per quel realismo che spesso ti riporta, ingiustamente forse, con i piedi per terra. Ma io ho sempre lavorato onestamente, non mi sono mai lamentato di nulla. Ora mi voglio soltanto godere ogni attimo, ogni istante senza pensare al futuro. Quello che sarà lo accetterò. Ormai lo so com’è il calcio, basta un ciuffo d’erba che ti devia la palla nella direzione sbagliata…”.
Intanto, però, la palla sta rotolando nella direzione giusta. Da quando è subentrato Eberini, la Reggiana ha collezionato quattro vittorie in cinque partite e dalla zona playout è passata alla zona playoff nel girone B di Lega Pro. Nel mondo dei numeri e delle ‘fredde’ logiche oggettive e profittuali, mica male! “Serviva ritrovare fiducia e qualche ragazzo dall’infermeria, le qualità ci sono. Io – racconta Eberini ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – ho cercato di dare una mentalità operaia alla squadra. Anzi, lo ripeto: voglio una Reggiana operaia. Dobbiamo essere umili e fare un passettino alla volta. Poi vorrei sottolineare un aspetto: il merito va diviso anche con i miei due collaboratori La Rosa e Tedeschi che sono importantissimi e qualificatissimi. Loro ci mettono l’energia, io ci metto l’esperienza. Diciamo che costituiamo un bel mix”.
Uomo del popolo, Eberini. Per la gente e tra la gente. Per i ragazzi e tra i ragazzi. “Mi piace stare a contatto con loro, parlarci e farmi raccontare. Mi piace ascoltarli, più che altro. Io ogni tanto li prendo sottobraccio, Cianci lo sa bene (ride), e gli racconto un pezzettino alla volta la storia della Reggiana. Chi indossa questa prestigiosa maglia non può non conoscere l’illustre storia di questo club”.
A proposito di ‘dialoghi’. La punizione di Riverola che domenica ha deciso la sfida a Bassano è stata una mezza profezia… “Sì, ma al contrario! Sabato provavamo i calci piazzati e lui ne ha messi dentri sette su dieci. A fine allenamento mi avvicino a lui e gli dico, ‘sei stato bravo, lo ammetto. Ma tanto se calci una punizione domenica, non segni mica…’. Detto, fatto. E infatti mi è venuto incontro ‘Hai visto, mister? Hai visto?’. Sono molto contento per lui perché è un ottimo ragazzo”.
Sogna la Reggiana, sogna Eberini. Sognano tutti, ma ad occhi aperti. Senza pensare a nient’altro, come è giusto che sia… “Se andrà male tornerò ad allenare i portieri del Settore Giovanile. Ora penso soltanto a vivere questa mia seconda giovinezza”. Perché sognare fa bene: rallegra l’animo e apre la mente. Torniamo a sognare, torniamo a illuderci. Abbandoniamo, almeno per un attimo, questo schiavismo da materialità, il quale ci ha portato soltanto ad una deprecabile ipertrofia apatica. Sogniamo come Sergio Eberini. Sognare non ha età. Sognare non ha luogo. Sognare non ha spiegazione e (per fortuna) non ha nemmeno un prezzo. #DaiCandom Sergio, sogniamo insieme a te…