“Non ho mai giocato né per soldi né per fama”. Rosicky smette: il ritratto del ‘Piccolo Mozart’ di Praga
Nome in tendenza su Twitter in ben tre paesi: dalla Repubblica Ceca all’Inghilterra, passando anche per la Germania. Dichiarazioni che rimbalzano sul web, lasciando in bocca un misto di amarezza e incredulità. “Lasciare il calcio è stata una decisione sofferta ma i segnali del mio corpo era chiari. Ha ceduto anche la testa. Non ha senso continuare, perché non ho più niente da offrire in campo”. Firma di Tomas Rosicky, il ‘Piccolo Mozart’ – come avevano imparato a chiamarlo in Bundesliga per la raffinatezza nei passaggi e quel suo modo ineguagliabile di orchestrare il gioco – che a 37 anni ha deciso di lasciare il calcio giocato. “Resto in questo mondo, però. Ci sono buone possibilità di rimanere nello Sparta Praga”, la promessa che guarda a un futuro non più così distante.
Pensi a Rosicky e ti vengono in mente mille immagini che potevano essere ma che, purtroppo, non sono state. Una sinfonia melodiosa, troppe volte rimasta incompiuta. Talento raffinato, troppo. Di cristallo, come i suoi muscoli. Con una serie infinita di infortuni che ne hanno limitato la grandezza. Velocità di pensiero, spartito sempre chiaro in testa ed eseguito alla perfezione. “E’ stato il mio eroe” – raccontava Marco Reus – “Un giocatore fenomenale. Nemmeno toccava il pallone che già sapeva dove avrebbe dovuto mandare il pallone, anticipando i movimenti dei suoi compagni. Ho cercato di copiargli tutto… perfino i polsini”. Un esempio da seguire per le generazioni successive, il modello a cui ispirarsi e da cui trarre insegnamenti. Anche di vita: “I soldi? Non ho giocato per questo e nemmeno per la fama”.
In Repubblica Ceca, il mito a cui guardare. Clonare, se possibile. Anche se, da bambino, il destino sembrava essere un altro. Scritto, chissà, nel nome. Che, in un primo momento doveva essere Jan, in onore di Palach, personaggio simbolo della resistenza anti-sovietica, ma che tramutò in Tomas come il bisnonno. Da piccolo non c’è spazio per il rettangolo verde, l’amore sfrenato è solo per l’hockey. Ben presto, però, le passioni diventano altre. Lo Sparta Praga, dove giocava papà Jiri Sr, e il calcio, da praticare insieme al fratello Jiri jr. Ad ogni festività, il regalo era sempre lo stesso: il pallone. Di cui, Tomas ne sarebbe diventato talentuoso artista. Prima in patria, poi in giro per l’Europa. A partire dal Borussia Dortmund che nella stagione 2000/2001 se ne innamora tanto da farlo diventare l’acquisto più caro della storia (fino a quel momento) della Bundesliga e il calciatore ceco più pagato di sempre. Il ‘Piccolo Mozart’ di Praga diventa grande, le sue giocate passano la manica e arrivano fino in Inghilterra. Nella Londra che tifa Arsenal, dove resta per dieci anni. Pupillo di quel Wenger che lo chiese a voce alta per superare la concorrenza del Barcellona: “Se ami il calcio, ami Rosicky”. Maglia numero 7 sulle spalle, qualche soddisfazione e una miriade di infortuni. Nota costante… e stonata della sua carriera.
Perché, con un po’ più di fortuna, la storia di Rosicky sarebbe stata ancora più altisonante. Fatta di passaggi millimetrici e tiri strabilianti, geometrie eseguite alla perfezione e giocate sublimi. Nedved – da cui, dal 2006, ereditava la fascia di capitano della Repubblica Ceca – lo definì “il più grande talento ceco della storia”, Cech: “Uno dei migliori giocatori cechi di sempre”. E forse, le sue soddisfazioni più grandi se l’è tolte proprio in patria. Con il palmares che recita “Miglior giocatore della Repubblica Ceca” per tre volte, “giocatore più giovane” e “giocatore più anziano” a indossare la maglia della Nazionale. Inizio e fine, giovinezza e maturità. Storia ciclica, che torna da dove era partita. Da raccontare con il sorriso sulle labbra e senza rimpianti. E che si chiude oggi, con la sintesi perfetta fatta dallo stesso protagonista. “La mia carriera è stata stupenda nonostante gli infortuni. Perché il calcio è così: regala momenti favolosi e altri crudeli. Ma io non ho mai giocato per soldi o fama, sono sempre stato quello stesso ragazzo che amava il gioco del calcio. Quel gioco che mi ha portato soddisfazioni e tanta gioia”. E allora buona fortuna, Tomas. Da oggi, un nuovo inizio.