Natura da 10, studio assiduo e pallino di Allegri: ecco perché la Juventus pensa a Kovacic
Il dieci è un ruolo nobile, un valore assoluto imprescindibile. I numeri 10 sono pochi, speciali, non si scordano. Mai. Li si apprezza pure al buio, anche quando non ci sono. E un dieci, soprattutto, è per sempre. Perché qui l’età non conta, nemmeno a diciannove anni: e se te lo mettono sulle spalle, lo accetti e basta. Prendere o lasciare, senza tremarella e ansia: alla Kovacic, per intenderci. “I dirigenti mi hanno salutato e subito mi hanno dato la maglia numero 10. Pazzesco. Mi hanno detto che merito quel numero, che lo hanno portato i più grandi calciatori dell’Inter”. Flashback nerazzurro, ieri, suggestione bianconera: oggi. Anzi, possibilità. Dall’attacco sistemato al centrocampo da potenziare. Magari proprio con lui, ‘Il Professore’, soprannome dato a Mateo dai compagni di squadra della Croazia. Questione di talento, purissimo. E di numero, oggi 23 con la camiceta del Real Madrid, ma 10 per indole. Istinto.
E ora la Juve, sì. Che approccia, pensa. Perché il croato si aggiunge alla lista dei centrocampisti cercati da Marotta e Paratici. Certo, oltre ai vari Matuidi, N’Zonzi, Emre Can e André Gomes, in un’operazione al momento molto difficile. Un’idea, però, da sempre presente nei taccuini bianconeri. Ma qual è la numerologia del 10 di Kovacic? Significati puri, assoluti. Del tipo: “Ha qualità straordinarie ed è uno dei pochi che con il primo controllo riesce a saltare il primo uomo. E poco importa la giovane età”. Sì, definizioni forti: importanti. E parole di Massimiliano Allegri, soprattutto. Che nel settembre del 2015, in pratica, sviolinò una bella serenata per quel 10. Giusto un complimentino mica male.
Intanto via con i contatti. Al momento, però, ancora nessun dialogo diretto con Real, solamente con agente e intermediari: con l’obiettivo di capire l’eventuale fattibilità della trattativa. Ok, ma la valutazione? Alta, nonostante l’età e gli ultimi chiaroscuri galacticos. E perché, in fondo, se uno nasce dieci ci rimarrà per sempre.
Dallo studio sui DVD ai gol pazzeschi
Passione e avventura. A muso duro, forte del proprio vissuto. Mateo è nato un anno prima della ratifica degli accordi di Dayton, sì: in Austria. Nel 1994. Prima, però, i genitori si erano conosciuti in Jugoslavia e poi sposati a Linz: vivendo i difficili anni 90. Ma superando tutti mettendo al mondo una stella. Che ha sempre studiato, assiduamente. Calma, lasciamo da parte la scuola: niente calcolatrici e quaderni. “Solo DVD, guardo i movimenti, i tempi di gioco, come smistano la palla, come lavorano per gli altri”. Chi? “Modric, Iniesta anche David Silva”, giocatorini insomma. Gente conosciuta in una carriera esplosa in un battito di ciglia. Dalla conferenza stampa in tedesco ad Appiano Gentile alla presentazione al Bernabeu. Due anni e mezzo all’Inter per convincere Madrid, da sempre cotta di Mateo. Un fiore sbocciato nella floridissima serra della Dinamo Zagabria, debuttando in massima serie a 16 anni e 198 giorni. Record croato e via. Col mercato che impazza, soprattutto l’Italia. La Serie A del destro al volo contro la Lazio, sbam: botta da fuori, Marchetti trafitto. Incredulo. E poi giù col motorino a scartarsi mezza Lazio. Show. Palla sempre attaccata al piede e non gliela togli: 9 su 10 ti salta. Robe da mega 10. Ok, ma se andasse alla Juve, dove dovrebbe migliorarlo Allegri? Mateo è un dribblomane di natura, davanti alla difesa è rischioso. E forse, ancora oggi, è incollocabile. Mezzala? Nì, perché non ha la corsa per l’avanti e indietro. Magari, quindi, nei due in mezzo al campo tipici della Juve. Oppure come perno alto di un centro campo a 3. Tattica pure, sì, ora aneddoti.
Ci vuole fede
Il segno della croce come esultanza. Questione di fede. Tanta curiosità nel 2013 quando arrivò in Italia, via con le domande in conferenza alla Pinetina. Idolo? Mi ispiro a…e qui venne il dubbio. Perché la traduttrice capì ‘Kakà’, ma in realtà Mateo pronunciò Prosinecki. Che Kovacic non vide di certo giocare, erano gli anni 80-90, ma si studiò da casa. Perché da piccolo consumava calcio a go-go. Notato subito sin da piccolissimo, anche all’estero. Tant’è che, a soli tredici anni, lo Stoccarda provò a convincerlo: offrendo al papà Stipo un impiego in Mercedes. Risposta: No. Meglio la Dinamo, pochi dubbi.
E le Kovacic runs, cosa sono? Scatti palla al piede infiniti, progressione uniche. Imparagonabile. Perché Mateo, quando parte, oltre al difensore sfida sé stesso, lo spazio e il tempo. Vola. Eppure il rimpianto nerazzurro esiste eccome. Ed è per questo che ora Zidane non vuole rischiare, testandolo ancora nella Supercoppa Europea contro il Manchester United. Sbloccatosi solo dopo 39 partite al servizio del Real, dopo l’infortunio del suo amico e modello Luka Modric. Per un totale di tre reti e cinque assist in blancos. O magari bianconero, con una Juve che ci provò anche l’anno scorso come alternativa alla pista Matudi. Storie di un mercato che si ripete, a destini incrociati. Dal blitz di Beppe Bozzo in quel di Medjugorje, dove la Dinamo era in ritiro ai tempi della partenza di Mateo, fino alla possibilità Juve del presente. Passando dal rinnovo interista nel 2015 fino alla maxi cessione al Real. That’s Kovacic, un dieci a sé. Un ibrido straordinario. Non un esterno, nessun regista puro o trequartista. Dovere e piacere. Ma quanto sia forte, beh: è evidente a tutti. E soprattutto a Massimiliano Allegri.