Nato negli USA, cresciuto in Islanda: nel 2013 scelse l’America per giocare i Mondiali. E ora…: la storia di Aron Johannsson
Chissà se potesse tornare indietro di quattro anni, cosa avrebbe scelto. Stati Uniti o Islanda, un dubbio che Aron Johannsson allora risolse abbastanza in fretta, appena seppe dell’interessamento di Klinsmann (allora commissario tecnico degli americani, ndr). Così, conteso calcisticamente tra le due nazioni, l’attaccante scelse gli USA, e con loro andò a giocare i Mondiali in Brasile. Fu una spedizione positiva, anche se si concluse agli ottavi di finale, che fece immaginare che di lì a poco avrebbero potuto dire la loro, con le grandi nazionali storiche. Ma questa decisione deluse profondamente la federazione islandese, che usò parole dure, con la speranza di un ripensamento di Johannsson. Il giocatore è nato in Alabama, figlio di due genitori islandesi che studiavano negli States. Ha vissuto lì tre anni, prima di fare ritorno in Islanda, dove ha avuto il primo approccio col calcio e le nazionali giovanili dell’isola. Tuttavia, ciò gli ha comunque permesso di scegliere secondo le normative FIFA. “Aron è nato in Islanda, i suoi genitori sono islandesi, ha conosciuto il calcio sotto l’ombrello della federcalcio islandese, ha giocato nelle nostre nazionali giovanili ma è consentito cambiare nazionale finché non si gioca in prima squadra. Negli ultimi anni non ha potuto accettare una convocazione in nazionale maggiore per problemi fisici. Nello stesso periodo, sono arrivate le prime voci che lo vedevano sui radar degli Stati Uniti. Ma Aron non ha alcun collegamento calcistico con l’America. E’ chiaro che come calciatore americano ha più possibilità di ottenere guadagni e sponsorizzazioni. Eppure è così semplice che un giocatore debba giocare per la propria terra piuttosto per onore e gloria. Ci auguriamo che Aron cambi idea, è un islandese a tutti gli effetti e c’è bisogno di lui per le competizioni internazionali. Speriamo che anche la gente e i media lo sfidino a giocare con l’Islanda, la federazione gli ha già inoltrato la convocazione per la prossima partita. Non c’è logica per cui Aron rinunci alla sua identità calcistica islandese” si leggeva nel comunicato che risale al 2013.
Ciò che sembrava essere l’inizio dell’ascesa del calcio statunitense, si rivelò il deludente apice di una parabola discendente. Culminato nella sconfitta contro Trinidad e Tobago che ha sancito l’esclusione degli USA dai prossimi Mondiali di Russia. Contestualmente, gli scorsi Europei ci hanno regalato qualcosa più di una semplice favola. L’Islanda sta raccogliendo i frutti di una politica incentrata sullo sport e i risultati, nel calcio ma anche nel basket, sono stati evidenti. L’anno scorso la loro cavalcata fu fermata dalla Francia ai quarti di finale: troppo il divario tecnico, eppure gli islandesi non demeritarono. Stavolta, si sono imposti nel proprio girone di qualificazione, guadagnandosi il pass per la Russia con molta autorità. “Aver giocato il Mondiale in Brasile è stato il miglior momento della mia carriera. Far parte della nazionale americana in questa spedizione è stato un sogno diventato realtà. Sono orgoglioso dell’Islanda, è un incredibile traguardo. Molti amici giocano lì e sono molto contento per ciò che hanno fatto, hanno meritato di esserci. Se tutto andrà bene, ci incontreremo in Russia” aveva scritto Johannsson prima della partita decisiva. Ma l’epilogo della storia, per il momento, non è a lieto fine. Non per lui, almeno, che nell’Islanda non ci ha mai creduto abbastanza.