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“Molti sacrifici, una vittoria”. Goodbye Paloschi, fino allo Swansea sognando Inzaghi

Puzzle sul tavolo, dizionario già in valigia. E’ in gallese, difficile vero? Colpisce il puzzle però. Manca qualche pezzo, è incompleto. C’è il giallo a prevalere. Sorrisi, un’esultanza strana. Infine il numero, 43. Insolito anche questo. Ma tant’è. Incompleto, dicevamo. Come l’attaccante in copertina: Alberto Paloschi. Il quale, proprio oggi, saluta l’Italia e se ne va allo Swansea. Sognando Pippo Inzaghi. Poiché tutto – ma proprio tutto – iniziò da lui.

Metti una domenica a San Siro, un esordio inaspettato, i tuoi genitori su in tribuna, al tuo fianco l’idolo di sempre, quel tiro al volo dopo 18 secondi, le risate di Ancelotti. “Domenica papà chiamerà te…” gli disse Davide, il figlio del mister nelle giovanili. Ipse dixit. Infine, all’improvviso, quell’esultanza strana. Verace, forte, sentita. Semplicemente, alla Pippo Inzaghi. Il filo conduttore della carriera di Paloschi. Perché lui, Alberto, da bambino comprava la sua “9” tutto emozionato, cercando di imitarne le gesta. Gol simili, stessa grinta, stessa capacità di trovarsi sempre lì, nel posto giusto al momento giusto. Un feeling speciale col filo del fuorigioco. In balia tra il troppo presto e il troppo tardi.

Ricordi nostalgici di quell’Inzaghi che fu. E che Paloschi cercherà di imitare pur non riuscendoci del tutto. Perché va detto, di Superpippo ne nasce uno e forse basta. Il “puzzle” Paloschi, quindi. In quanto da uno che esordisce in quel modo ci si aspetta sempre di più. Bene a Parma, poi lo stop (infortuni muscolari legati alla crescita, troppo in fretta). Male a Genoa, poi il Chievo (45 reti in 5 anni). “Bomberino” da 10 gol stagionali, salvezza assicurata. Sempre lì, al centro. Aspettando il guizzo giusto per colpire di soppiatto. Umile però, consapevole dei suoi limiti. Il cucchiaio? No, “non è nelle sue corde”. “Se sono un campione? Boh, non so che vuol dire”. E via così.

Bravino a scuola, amico di Simone Romagnoli (difensore del Carpi). Quello che in classe, da bambini, gli spiegò la rivoluzione francese facendogli prendere un bell’8. Scartato all’Atalanta insieme a Balotelli (e forse oggi si mangiano le mani…). Caparbio, intelligente, dedito al lavoro. In testa, poi, il solito Pippo. “Tifavo per le squadre in cui giocava lui…” Un’ossessione, tanto da chiamare suo fratello…come lui! Tatuaggi? Qualcuno sì, tra cui il più importante sul polso destro: “A dream, many sacrifices, a victory”.

Emblema della sua carriera. Oggi i due sono diventati amici, Pippo l’ha aiutato a rimettersi in sesto dopo i tanti infortuni di Parma, riempiendolo di consigli. Non ne ha raccolto l’eredità, sarebbe sbagliato affermare il contrario. Ma la carriera è ancora lunga. Never say never. Nuova avventura ora, lo Swansea di Guidolin per completare il puzzle. Non più il 43, ma la 9 dei bomber. Sognando Inzaghi. Goodbye Paloschi.