Milan, Bertolacci: “Importante vincere il derby, ma serve anche continuità”
Un derby può salvare una stagione? Andrea Bertolacci non è del tutto d’accordo. Vincere sarebbe importantissimo, ma se dopo perdi le altre partite che senso ha? “Prima del derby cerco di mantenere le solite abitudini – si legge nelle pagine del Corriere della Sera – se ti carichi troppo rischi di arrivare scarico. Vincere? Certo, ci teniamo tanto per i tifosi, ma il derby non salva la stagione se per caso vinci ma perdi le successive: in questo caso la gente si dimentica presto del derby. Serve invece continuità. Facciamo partite che non t’aspetti, penso alla Fiorentina, e poi non ci ripetiamo. A Empoli è mancato il cinismo, se vai due volte in vantaggio devi vincere. Derby sottotono? Non credo. Si affrontano due squadre molto forti. Noi abbiamo perso punti che non meritavamo di perdere. Ci manca la spregiudicatezza che ti consente di tentare la giocata. Non c’è se hai paura di non portare a casa il risultato. Se ne esce con la consapevolezza che siamo forti. San Siro? Noi dobbiamo essere bravi a isolarci. In allenamento vediamo i nostri valori, sappiamo che siamo forti. La fiducia altrui però si conquista solo con i risultati. Uno dei nostri obiettivi deve essere proprio quello di riportare i tifosi allo stadio”.
Champions ancora possibile? “Non amo i pronostici, ma il derby è molto importante. Anche perché è uno scontro diretto. Europa League? Ascoltiamo la società e forse ora l’obiettivo è quello, di certo eravamo partiti con altri traguardi. Ma il campionato è ancora lungo”. Bilancio rossonero: “Ho sofferto un po’ l’ambientamento. Dopo l’infortunio in Nazionale avevo ritrovato le mie qualità, ma poi mi sono fatto male di nuovo. Alla squadra manca continuità nelle prestazioni e nei risultati e questo incide anche sui singoli. Il Milan è in una fase di ricostruzione, ha cambiato tanti giocatori e anche allenatori. Mihajlovic in discussione? Sarebbe da ipocriti dire che sono cose che non dispiacciono e non danno fastidio, immagino anche a lui. Però abbiamo dimostrato con i fatti di essere un gruppo unito e di stare con l’allenatore. Il meglio l’abbiamo dato proprio nelle difficoltà. Forse il segreto sta proprio nell’essere arrabbiati”.
Curiosità: “Vita a Milano? Sto benissimo, me l’avevano detto che la qualità di vita era alta. Io esco poco, mia moglie sta frequentando la scuola di chef: cucina lei. Da bambino dicevano che assomigliavo a Seedorf, perché avevo il sederone. In quel periodo seguivo mio padre ovunque. Poi, quando avevo 8 anni, mi ha fatto salire con lui nell’abitacolo della sua barca da offshore . Un trauma. Ero sulle sue gambe, c’era il cupolino, era stretto, mi mancava l’aria. E poi l’acceleratore era solo a metà e già tremava tutto. Da allora non ho più voluto seguirlo. Mi era rimasta talmente tanta paura che quando io giocavo alla domenica e lui gareggiava, ero d’accordo con mia madre che mi facesse un segno dagli spalti per dirmi che lui stava bene. Oggi credo che l’abbia fatto apposta per farmi capire quanto fosse pericoloso e farmi cambiare strada. Quando è diventato campione del mondo, l’ho convinto a smettere”.