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“Mette la parrucca”. Cagliari, il Pavoloso mondo di Leo… e Mou

Il Pavoloso, mai soprannome fu più azzeccato. In campo Leo fa gioire compagni e tifosi, con i suoi gol, già 5 questo campionato, strappando tanti sorrisi durante i 90 minuti di gioco e a fine partita. Fuori dal campo? Stessa scena, perché a Pavoletti bastano 5 minuti per diventare amico di tutti (clicca qui). Il suo sorriso contagioso tradisce l’indole da guerriero: gli incisivi superiori spezzati testimonianza di tante battaglie. Ma il Pavoloso è veramente così… Pavoloso? “Potete scommetterci” – conferma Lorenzo, fratello del bomber rossoblù, wealth planner specializzato in pianificazione e protezione del patrimonio di numerosi calciatori – “E’ rimasto lo stesso ragazzino che tornava a casa con le ginocchia sbucciate. Semplice, sempre sorridente, disponibile, ha un carattere solare. Nonostante tutte le attenzioni, la notorietà, il fatto di essere idolo e eroe per moltissime persone, non si è montato la testa, non si è staccato dalla terra. Si è formato da solo, fuori, perché a 17 anni aveva già la valigia in mano, lontano da casa. La testardaggine, la tenacia, gli hanno permesso di arrivare in alto nel mondo del professionismo, il suo carattere di rimanere il “bimbetto” del cortile…”.

Lanciano, Sassuolo, Varese, Genova, Napoli, Cagliari, non c’è tifoseria che non si sia affezionata al corazziere toscano. Insomma, gli si vuole bene…” “Già” – riprende divertito Lorenzo – “E’ amico di tutti e non sto esagerando. Ti faccio un esempio, quando va in trasferta e gli chiedo un biglietto spesso non ne ha più perché non ha voluto dire di no a una persona conosciuta qualche giorno prima. E’ generoso, sensibile, è come lo vedete in campo. Ha un carattere molto aperto e questo gli ha permesso di affrontare bene il salto nel mondo del professionismo”. Il papà di Leonardo, istruttore, tra gli altri, di Filippo Volandri, ci ha provato anche con Leo: “Sia io che lui abbiamo iniziato con il tennis, da piccolissimi. Mio padre da appassionato della disciplina ci aveva indirizzato, ma non ha fatto ostruzionismo. Con la racchetta Leonardo era bravino, ma non dava l’impressione di poter sfondare. Con la palla tra i piedi si vedeva da subito che aveva una marcia in più. Giocavamo nel cortile condominiale, Leo aveva 6 anni meno di me e dei miei amici, eppure era il più bravo. Era un bimbetto con lo spirito di un ninja: prendeva botte, lottava su ogni palla, si è formato con noi. Quando iniziò a giocare con i pari età segnava 5 o 6 gol a partita e dava già l’anima per la squadra: difesa, centrocampo, attacco… Lo conoscete, no?”.

Era già un metro e novanta? (risata) “No, ma era una roccia. Faceva judo ed era molto bravo. Leonardo ha sempre avuto un fisico massiccio, a 7-8 aveva già tutti i muscoli definiti: è nato per fare sport. Un po’ meno per lo studio (altra risata). Della scuola gli piaceva fare gruppo, stare insieme ai compagni, il lato sociale, ma tenerlo fermo sulla sedia per studiare era un’impresa. Ha fatto il socio-pedagogico, un liceo scientifico sperimentale, stessi studi che ho fatto io e che ha fatto nostra madre. Psicologia e pedagogia erano le sue materie preferite e questo lo ha aiuto anche a formare il carattere. Dopo il liceo si è iscritto all’Università, ha iniziato con Fisioterapia, poi ha provato anche l’esame per Scienze Motorie, e si è iscritto a Biologia. Ma come detto non aveva una grossa propensione per gli studi, lo faceva perché giocando in Serie D non aveva nessuna garanzia di poter sfondare come calciatore”.

E adesso uno dei capitoli più curiosi, il maialino vietnamita Mou… “E’ una storia un po’ complicata… Mou è arrivato a casa nostra quando Leonardo ha iniziato a salire le categorie e quindi ci piace giocare su questa coincidenza. Il maialino vietnamita lo ha accompagnato un po’ in tutte le tappe e ancora adesso è vivo e in forma nel giardino di casa nostra, a Livorno. E ci tengo a precisare che Mourinho non c’entra nulla, Mou significa “maiale” in vietnamita”. Precisazione d’obbligo per lo special one. E della parrucca rossa che ci racconti? “Semplice. Io sono consigliere di una fondazione, una Onlus che fa clownterapia negli ospedali pediatrici. Leo ha deciso subito di accettare l’offerta di diventare testimonial di questa attività. Ai tempi del Genoa il primo appuntamento è stato a Milano, con Mattia Perin. Abbiamo organizzato anche una cena per una raccolta fondi per il Gaslini di Genova e questo ci ha permesso di iniziare l’attività anche in quella struttura. La speranza di quest’anno e di portare la clownterapia a Cagliari”.

Ok, abbiamo capito che Leo è veramente un ragazzo Pavoloso, ma ci sarà qualche difetto? “L’unica cosa che gli possiamo rimproverare è di non essere riuscito a laurearsi, magari in Scienze Motorie. C’è riuscito un altro livornese doc come Giorgio Chiellini, lui in Economia, ed è testimonianza del fatto che anche ad alti livelli si può. Questo avrebbe permesso a Leo di avere più di un’opportunità a fine carriera, anche se il suo più grande obiettivo l’ha raggiunto. Non era per niente scontato… Leonardo ha dovuto lottare in tutta la sua scalata, nessuno gli ha regalato nulla. Tra le sue sfortune c’è stata anche quella di trovare un procuratore che in una fase determinante della sua carriera non ha saputo tirarlo su come meritava. Già nel 2013 era pronto per la serie A, quando ha contribuito con 11 gol alla promozione del Sassuolo. Ma i neroverdi non erano d’accordo e lo hanno rispedito in serie B, dove ha risposto a modo suo, con 24 gol… L’anno dopo a Sassuolo ha fatto ancora panchina e solo quando si è affidato a Branchini c’è stata la svolta, il Genoa”.

Poi il Napoli, la grande opportunità: “Era l’ultimo gradino, in quel momento Leo se lo meritava, ma non è andata bene. Diciamo che potendo tornare indietro forse sarebbe una scelta da non rifare, ma al Napoli non si poteva dire di no. Dopo è andata bene perché è arrivato il Cagliari dove Leonardo sta divinamente”. Torniamo al privato… A cos’altro non sa dire no? “Da livornese diresti il caciucco alla livornese, ma non è così. Leonardo va pazzo per le cotolette alla milanese ed è veramente una stranezza per un ragazzo toscano”. Ora per tutti è il Pavoloso, ma in casa e tra gli amici come era noto? “Era fissato con le tartarughe ninja quindi per noi era il piccolo ninja. Adesso sarebbe improponibile perché quel soprannome lo ha preso un certo Nainggolan e Pavoloso non è affatto male…”.

Dopo dieci giornate è il terzo miglior marcatore italiano, a due gol da Insigne e uno da Immobile. E’ lui il centravanti che manca alla Nazionale? “E’ il suo grande desiderio e penso che per il momento di forma e per l’indole dei giocatori azzurri dell’era Mancini sarebbe perfetto. Leo paga il fatto di non avere la stessa pubblicità di altri attaccanti e la sua generosità in campo non lo aiuta. Sotto porta potrebbe avere quella lucidità che gli permetterebbe di segnare più gol. Ma lui è un generoso”. Per Leonardo diciotto gol in quarantatré presenze totali in rossoblù, e se la palla capita sulla sua testa è una sentenza. Cagliari si coccola il suo centravanti, nell’attesa che anche per Mancini diventi il Pavoloso, il bomber con il sorriso.