“I miei sacrifici per il calcio, Ronaldo e… Aina”: Mavididi, una stella per la Juve Under 23
Sguardo serio,
occhio concentrato. E una timidezza che non ti aspetti. Ma forse, per
un giocatore che vuole diventare campione, ci vuole questo: tanta
umiltà. Anche se una società come la Juventus ha speso un milione
di euro per prenderti, giovanissimo, da un club prestigioso:
l’Arsenal. Anche se, da giovane, sei stato allenato da (e
paragonato a) Thierry Henry. Anche se, qualche volta, adesso ti
alleni con Cristiano Ronaldo. Ma lui, Stephy Mavididi, non ci pensa.
Non è falsa modestia. Non è nemmeno arroganza. Anzi: è solo la
voglia che un ragazzo ha di emergere, sapendo tutti i sacrifici che
lui e la sua famiglia hanno fatto, per arrivare a certi livelli.
“Ho cominciato a
giocare quando avevo cinque anni”, racconta l’attaccante della
Juventus Under 23 in esclusiva per Gianlucadimarzio.com. “Mia mamma
mi portava agli allenamenti, mi ha sempre sostenuto molto”.
Congolese lei, angolano il padre. Britannico Stephy. Figlio di un
melting pot (“Ma in casa parliamo inglese: mia mamma si è arresa”,
sorride) fatto di speranze e di difficoltà. “A nove anni mi prese
il Sutton United”, un piccolo club di Londra. “In realtà, ho
scoperto dopo che mi volevano anche Chelsea, Manchester City e
proprio l’Arsenal: ma il mio allenatore di allora non me lo disse,
perché pensava fosse meglio per me partire con più calma”. Aveva
ragione? Ne è sicuro: “Anche se lo avessi saputo, probabilmente
sarei andato comunque lì”. E non era nemmeno vicino da casa.
Mavididi: “Un’ora e mezza di pullman per inseguire il mio sogno”
“Per tre volte
alla settimana, io e la mamma prendevamo il pullman per andare al
campo: un’ora e mezzo di viaggio. Non avevamo la macchina, dovevamo
arrangiarci. Tornavo a casa alle dieci di sera”. Un sacrificio non
da poco. Uno dei tanti. Poi, arrivò la chiamata dell’Arsenal e
qualcosa cambiò. “Sono stato allenato da Henry: un mio idolo. Mi
ha insegnato i movimenti in attacco, a essere efficace sotto porta”.
Efficacia che adesso
si può apprezzare in Italia, nella Juve. “Non è stato facile
all’inizio”, ammette. “Sono qui da sette mesi, ma ho dovuto
adattarmi. Vita diversa, cibo diverso e pure gli allenamenti: solo
facendoli mi sono davvero reso conto di quanto sia tattico il calcio
italiano. In Inghilterra è molto più fisico, qui invece i
movimenti, le posizioni contano moltissimo”. 6 gol in 26 gare, tre
consecutivi nelle ultime tre: “Sto trovando il ritmo. Tutta la
squadra ci sta riuscendo. Il nostro obiettivo? Fare il massimo da qui
alla fine, crescere”. Che è poi il motivo per cui la Juventus ha
subito pensato di formare una squadra Under 23.
“Play station, Kean e quel rapporto da derby con Aina”
“Quando ho saputo
che erano interessati, l’attrazione è stata fortissima. Certo, non
è facile: non avevo mai vissuto fuori dall’Inghilterra, ho
lasciato la mia famiglia e mi sono trovato in una realtà nuova”.
Ti guarda sempre fisso, concentrato. Parla poco, ma quello che dice è
sempre pesato. “Sono fatto così: mi reputo una persona solitaria.
Mi piace stare da solo, ma ho tanti amici vicino a casa mia: a due
passi ci sono Fernandes, Idrissa Touré, Kean… Ci vediamo spesso:
giochiamo tanto alla Play Station”. Sorride.
Pensa agli amici. A
quelli che vuole citare. E, ammette, ce n’è un altro a cui tiene
molto. “Ola Aina”. Sorpresa. L’esterno del Torino è arrivato
dal Chelsea la scorsa estate. Si conoscono da tanto: “Da quando
avevamo nove anni. Quando sono stufo del tedesco di Touré o
dell’olandese di Fernandes (ride, ndr), vado da lui”. Con lui si
sente quasi a casa: parla inglese, si divertono. In un clima da derby. Ricordando quella
Londra che è un po’ il punto di riferimento. “Lo faccio anche
con Ronaldo”, dice. Con Cr7, Mavididi si è allenato molto in
questi mesi, prestato alla prima squadra per gli allenamenti. Gli
occhi si illuminano di nuovo: “Cristiano sa l’inglese e conosce
la nostra cultura. Parliamo di città da visitare, di Londra (di
nuovo, ndr)”. Un altro modo per farlo sentire a casa.
Perché Mavididi è
così: legato alla Juve ma anche alle sue origini. “L’italiano?
Ancora lo parlo poco” ride. Ma vuole migliorare. “Qui la vita è
molto diversa: il cibo, per esempio. E le abitudini: si fa cena alle
8.30, 9. In Inghilterra almeno due ore prima”. Dettagli che per un
atleta possono fare la differenza.
A posto? A posto.
Stretta di mano, un saluto e un altro sorriso. La timidezza se n’è
un po’ andata, lo sguardo serio e concentrato no. Perché di questo
si tratta: essere sempre sul pezzo, pensare alla prossima partita, a
come migliorarsi e ambientarsi in un calcio nuovo, difficile,
diverso. Senza dimenticare il passato e la propria storia. Quella di
un ragazzo che sogna di diventare campione.