“Il calcio mi ha salvato la vita!”. Monterosi, parla Matuzalem: “I tatuaggi, la mia storia, i miei rimpianti. Vi dico tutto”
Noti subito i tatuaggi, è la prima cosa. Nomi, volti, storie: “Le mie, sulla pelle”. E quando ci pensa ha gli occhi lucidi: “Tranquillo eh, parlarne non è un problema”. Parentesi di vita che vale la pena raccontare: “Il calcio mi ha salvato, se non fossi diventato un calciatore oggi sarei in carcere, lo dico e lo ripeto. E’ così”. Mati parla chiaro, racconta. Verità non più nascoste ma affrontate a viso aperto: “Alcuni amici con cui sono cresciuto hanno fatto una brutta fine”. Destino intuibile: “C’è chi sta in galera, altri sono andati via…”. Non utilizza mai il termine ‘morte’. Mai. Questione di dolore, rispetto: “Mi sono tatuato il nome di uno di loro”. Niente da aggiungere. “Sai, ai miei tempi non tatuarsi significava fare un dispetto alla polizia, ora è una moda”. Storie, sì. “Mati sta per?”. Francelino Matuzalem, ve lo ricordate? Ex centrocampista di Lazio, Napoli, Brescia. Un bel piedino. Ora, a 36 anni compiuti, un nuovo corso: “Ho scelto di giocare col Monterosi in Serie D”. Merito di un progetto serio, ambizioso. “Chiaro”. Proprio come Matuzalem: “Appena ho conosciuto il presidente non ho avuto dubbi, gli ho detto ‘dammi carta e penna, firmo subito!“. L’inizio di una favola: “Mio figlio gioca qui, ha 15 anni. E’ felicissimo e sogna di giocare con me”. Chissà: “Mai dire mai, ho voglia di far bene, ho tanto entusiasmo. Non penso al futuro, per venire qui ho rifiutato anche qualche offerta”. Tipo? “Ho avuto proposte dal Brasile, Internacional e Vasco de Gama su tutte. Poi mi ha chiamato anche Mutu alla Dinamo Bucarest, ma ho preferito il Monterosi”. Fiducia. “E ora non ti lascio più!” commenta il presidente, Luciano Capponi, una vita da regista tra cinema e teatro. Subito feeling: “Vogliamo la Lega Pro, il nostro obiettivo è vincere. Voglio la promozione”. E magari chissà, farsi un altro tatuaggio. Stavolta per raccontare un nuovo capitolo della sua vita. Felice, positivo. Vincente. Matuzalem si è raccontato così, senza peli sulla lingua. Il Brescia e Novellino, la Lazio e i suoi successi, Lucescu e la sua stima. Il Napoli. Un’intervista a 360 gradi, in esclusiva su Gianlucadimarzio.com.
GIOCHIAMO CON LA JUVE? NO, SIAMO IN B…
Un solo idolo da ragazzino: “Romario! Ai Mondiali del ’94 ha fatto impazzire tutti”. Nessun soprannome da piccolo, è arrivato dopo: “Reja mi chiamò il Professore ed è rimasto, mi è sempre piaciuto”. Ah, l’Italia. “Il Parma mi girò subito al Napoli”. Bellinzona prima tappa europea? “Macchè, non ci sono mai andato. Nel mio curriculum c’è, ma in realtà non ci ho mai messo piede. Non so se si può dire però…”. Tutto vero al San Paolo: “Ti dico la verità, all’inizio non è stato facile. Volevo andarmene, chiamai mia madre e le dissi che sarei tornato in Brasile. Ma lei si oppose, disse che avrei dovuto pensare al mio sogno e rimanere lì. Ad oggi è una delle persone che ringrazio di più, è stata fondamentale nella mia vita”. Come Walter Novellino: “E’ stato un padre per me, davvero, uno dei pochi a capirmi. A Napoli veniva a prendermi a casa perché mi dimenticavo degli allenamenti, non avevo ancora capito com’era la vita in Italia. Ero abituato al Brasile. Ti dico questa…”. Vai: “Eravamo in pullman prima di andare allo stadio, io cantavo e ballavo sempre. Tutti mi dicevano di stare in silenzio, ma io non capivo, ero abituato alla samba“. Altre chicche: “A Napoli mi vogliono ancor bene, ho bellissimi ricordi. Quando arrivai non avevo idea di dove fossi, andai dal direttore sportivo e gli chiesi quando avremmo giocato contro il Milan, la Juventus, l’Inter. Solo che…eravamo in Serie B!”. Questione di tempo. Primo anno, subito in A: “C’era Zeman, un allenatore bravo ma molto esigente. Per lavorare con lui devi essere fisicamente al top”. E Novellino? “L’ho ritrovato a Piacenza l’anno successivo, lo ringrazierò sempre per quello che ha fatto per me”. Bella squadra quella stagione: “C’erano Gautieri, Di Francesco, Hubner. Che personaggio, prima di ogni partita fumava una sigaretta e beveva la sua grappa. Ma quanto segnava!”. Tappa a Brescia: “Anche lì, una grande squadra. Guardiola era già un allenatore in campo, poi c’erano Toni, Appiah, Del Nero. E infine Baggio”. Stima indiscussa: “E’ stato il miglior 10 italiano di sempre, al di là di Totti e Del Piero. Che classe, uno spettacolo vederlo. Ricordo che scommetteva con Jonatan Bachini su quante punizioni avrebbe segnato. Vinceva sempre, anche a 40 anni. Una volta venne vicino a me e mi disse che ero un bel giocatore, uno dalle grandi potenzialità”. Il “cocco” di Mazzone, Roby: “Il martedì rivedevamo in tv le nostre partite, la differenza è questa. Se segnavo io, o qualcun altro, non diceva niente. Se invece segnava Baggio diceva ‘anvedì che gol!”. Un personaggio: “Bravissimo, divertente. In campo si trasformava, ci diceva sempre che in partita c’era suo fratello gemello. In settimana era tranquillo, poi…”. Il Mazzone che tutti conosciamo.
DA LUCESCU AL “GOL DI FACCIA”
Altro giro, altra tappa. Altro tatuaggio sulla pelle, scritto in cirillico: “Shakhtar Donetsk”. Anzi, Lucescu: “Come Novellino, è stato un padre. Disse che non aveva mai allenato uno come me. Era un bel gruppo, c’erano tanti brasiliani come Elano, Jadson, Fernardinho. Poi Tymoshchuk, Srna, una grande squadra”. Forte in Ucraina, forte in Champions: “Abbiamo fatto bene sì, ho segnato tanto e mi sono divertito. E che lotte in partitella, tra ucraini, croati e noi brasiliani. Volavano certi calci! Il presidente stravedeva per me, scommetteva coi suoi amici se avessi segnato o meno”. L’ambizione è alta però, Matu vuole il Mondiale e sceglie la Liga. Saragozza: “Stavo bene in Ucraina, ero il capitano. Ma puntavo alla Nazionale, andai lì grazie all’articolo 17, lo Shaktar non voleva lasciarmi andare”. Qualcosa va storto però: “Dopo 3 giornate Yaya Tourè mi fece un’entrata criminale e rimasi ai box per diverso tempo. Quando tornai non ero al top, alla fine andammo in B per un solo punto”. Motivo? “C’erano grandi campioni come Milito, D’Alessandro, Ricardo Olivera, Ayala. Ma non il gruppo, per niente. Si litigava troppo durante gli allenamenti, andò male”. E allora che si fa? Biglietto in mano, valigia pronta. Direzione Italia, direzione Roma: “Già, la Lazio…”. Pensieri. Anni belli, ma controversi. Trofei ed infortuni, anche 4 mesi da separato in casa: “Lì è stata colpa mia, è la verità”. Partiamo dall’inizio: “Quando i tifosi mi incontrano mi ricordano due cose”. Semplici, ma efficaci: “La prima è l’assist a Klose nel derby contro la Roma, al 93esimo! Fu bellissimo, incredibile. Poi in ogni città in cui sono stato ho lasciato un segno”. Eccoli: “Col Napoli segnai contro l’Inter e vincemmo 1-0, non accadeva da anni. A Genoa, invece, feci un gol nel derby e ancora ne parlano. Infine la Lazio…”. Manca il secondo punto: “Eh sì, il gol di faccia in finale di Supercoppa Italiana contro l’Inter. Mi spaccai il labbro, un dolore assurdo. E’ stato uno dei gol più importanti che ho fatto, ma al tempo stesso il più brutto. Mi rimbalzò il pallone sul volto e segnai, non ci credevo. Pensavo solo al dolore”. Prima ancora, la Coppa Italia del 2009: “Grande soddisfazione, davvero. Poi eravamo uno squadrone! Pandev, Rocchi, Lichtsteiner, un Zarate in formissima che appena toccava palla faceva gol. Anche Ledesma…”. Dualismo? “Mai stato, tutto è possibile. Con Delio Rossi giocavamo insieme, mentre Ballardini mi schierava mezzapunta. Non è il mio ruolo, infatti quando l’ho ritrovato a Genoa gli ho detto di mettermi davanti la difesa”. Infortuni Tallone d’Achille, no? “Mi hanno penalizzato, è stato un problema di gestione che iniziò dalla Spagna. Volevano farmi giocare subito, io entravo in campo e mi facevo male”. C’est la vie. Mentre l’ultimo anno come andò realmente? “Petkovic mi stimava, ma fu colpa mia. Andai in Brasile, impiegai una settimana in più per tornare. Poi c’erano altri altri giocatori fuori rosa come Zarate e Diakitè. Ci ho messo del mio”.
MACELLAIO A CHI?
Passiamo al Genoa: “Ho fatto due stagioni alla grande, ricordo un giovanissimo Immobile. Non era come ora, è cambiato in meglio. Quell’anno c’era Borriello ed ebbe poco spazio, ma aveva voglia di emergere e si vedeva”. Nel mezzo, due episodi spiacevoli. Strumentalizzati, confusi, mai capiti realmente. “Cosa c’è dietro all’entrata su Brocchi? E a quella su Krsticic?”. Domande fin qui senza risposta, ma Matu fa chiarezza: “Riguardo Brocchi, il problema fu Baronio. Scrisse cose assurde su Twitter, non ebbe neanche il coraggio di dirmele in faccia, usò il computer. Creò lui quella situazione. Con Cristian non c’è mai stato nulla, dopo quel fallo lo chiamai per scusarmi e finì lì. Era un fallo di gioco, durante un’azione di contropiede. Non dovevamo prendere gol. Ci tengo a ribadire che non ho mai avuto problemi coi compagni nello spogliatoio”. Infine su Krsticic: “Stesso discorso, montarono un caso! Lo ritrovai a Bologna e non parlammo mai di questo argomento, mai. Anzi, all’epoca mi scusai subito”. Arriviamo alla fine, ultimi ricordi prima del presente. Si parla di Nesta e del Miami: “Ragazzo fantastico, sta facendo un po’ di esperienza. Certo, la NASL non è l’Italia. Ma gli serve, farà bene. Ne sono sicuro”. Domanda secca, quasi d’obbligo. “Rimpianti?” E Mati risponde con sincerità: “Sicuramente, ho commesso qualche errore. Baggio mi disse di stare attento, intravede qualcosa nelle mie capacità ma mi consigliò di fare attenzione, mi disse che il calcio è uno sport che finisce subito. E aveva ragione. Ma sono autocritico, se avessi dedicato più tempo a fare il professionista mi sarei tolto tante altre soddisfazioni, questo è vero. Tuttavia, sono contento di ciò che ho fatto. Ora sono maturo, ho messo la testa a posto e insegno a mio figlio a non commettere i miei stessi passi falsi”. Premuroso, attento. “Protettivo”. Noti i tatuaggi, poi la persona. E capisci che l’apparenza inganna. Che dietro un semplice marchio c’è anche altro, c’è tutto. C’è una storia. La sua, di Mati, il “Professore” del pallone che ancora oggi, dopo tanti anni, si commuove per quei suoi amici che non ci sono più. E per quel sogno che gli ha salvato la vita.