Marlboro per concentrarsi, sul tetto ad osservare. Sabatini, la Roma e il talento di ricostruire
Il suo ufficio è un bel casino. C’è disordine, caos. I fogli sono sparsi: “Soltanto così riesco a chiudere un pensiero reale”. A cercare, scovare: “In questo modo vivo bene”. Col telefono “sempre acceso” e l’abbonamento a Wyscout. Nel caos, quindi, la lucidità mentale di scovare i nuovi Lamela. Uno che “volevo a tutti costi, la mia scommessa più grande”. Pillole di una stima rimasta tale. Caos, però. Le segretarie “cercano di sistemare un po’ ma non riescono”. Impossibile farlo. Tra tappi di Berlucchi e una scatola di Gaviscon. Impossibile stargli dietro. Un personaggio, Walter Sabatini. Che ieri, dopo 5 anni, ha lasciato la Roma e il suo ruolo di direttore sportivo. Ora toccherà a Frederic Massara, uno dei suoi fedelissimi. Ma Sabatini chiude un’epoca.
Arrivò nel 2011 e in conferenza si presentò così: “Se non fumo perdo la concentrazione”. Marlboro rosse sempre in tasca, quelle con la miscela di tabacco. I documenti può dimenticarli ma le sigarette no, mai. “Da 30 anni fumo e parlo di calcio”. Valvola di sfogo: “Mi rilassano”. Come i libri e la lettura, Garcia Marquez il suo preferito “Dilata la mia vita”. Monitora tutto, tutti, di continuo. Attento e puntiglioso. Osserva ogni dettaglio, allo stadio vede le partite in un ufficio perché “quando la Roma prende gol mi si abbassano i ritmi cardiaci”.
Ultimamente, purtroppo, aveva anche problemi di salute. Fiatone, stress. Con quindici caffè al giorno è anche normale. Ma al tetto di Trigoria non rinunciava mai. Gli piaceva stare lì, in alto: “Domino tutto”. Qualcuno lo vede “ed ha paura”. Lo teme, teme il personaggio. Ma Sabatini non è un “orco”. Coccola i suoi giocatori, quelli che ha scovato e coltivato. Parla con tutti ma ti scruta, i suoi occhi sono sempre all’erta. Magari chissà, percepisce un affare. Re delle plusvalenze, più di 170 milioni (!) incassati in 5 anni. Mercato dipendente, nessun trofeo e qualche critica: “Mi dicono che non prendo giovani italiani, ma dove li trovo a cifre abbordabili?”. Risposta pronta.
Tanti soprannomi, storie diverse: nel 2011 porta Luis Enrique perché una “sua intervista l’aveva colpito”. “Una scelta ai limiti del provocatorio”. Luis dura un anno e poi adios. Qualche tempo vincerà la Champions. Ma guai a parlare di scelte sbagliate, la fortuna è solo “un’attitudine”. Leggeva anche Baudelaire, Sabatini. Trovava il tempo mettendo in ordine in quel caos. Serenità. Quella che riportò Rudi Garcia dopo la Coppa Italia persa: “Ha fatto un lavoro eccezionale, è un’intuizione che mi compiace”. Ricostruzione. Champions League in primis, quel derby che “riportò la Chiesa al centro del villaggio”. Nel suo ufficio c’è ancora la foto della squadra. Criptico e sfuggente, anche. A volte “ti diceva una bugia a fin di bene”. Corretto.
Un’anguilla col sorriso sempre pronto e l’agenda sempre piena. Appuntamenti, tanti. Tra colpi e qualche rimpianto. Zeman? “Un rammarico”. Per dirne uno. E Totti? Basta una frase: “I suoi colpi saranno chiusi in un libro e mai più riproposti da nessuno”. Amen. Poi Pjanic, Nainggolan, Benatia, Manolas, Strootman, Salah, Perotti. Ma anche Bojan, Jose Angel, Kjaer, Ucan e Goicoechea. Qualche flop c’è stato, anche normale in una carriera di operazioni alla Kolarov, preso a 800mila euro e rivenduto al City per 18 milioni. Alti e bassi con Pallotta: “Ad un certo punto mi sono sentito prigioniero”. Dice che il “sesso l’ha salvato”. Che con Spalletti c’era sintonia perché “sono due disturbati psichici della vita”. Che “si suicida tutti giorni”.
Roba bella forte. Caos, ma l’ordine mentale di avere tutto sotto controllo. Ossimori di vita di chi ha scovato talenti e li ha pure rivenduti. Plusvalenze diventate tormentone. Storia di rinascite, di pianificazioni e lavoro duro. Perché Sabatini, dopo un insuccesso, è sempre ripartito. Anche da zero, con investimenti e lungimiranza. A volte sbagliando, certo. Ma rischiando. Perché i talenti li capisce al volo: “Mi basta guardarli in faccia!”. E oggi lascia la Roma dopo aver smosso il mercato a ogni sessione. Ora l’ufficio sarà sistemato, sul tetto non ci sarà nessuno. Il disordine scomparirà. Ma non la Roma, costruita e ricostruita. A modo suo, come sempre. E come sempre sarà.