Addio Mariolino Corso, re della “foglia morta”
Aveva 79 anni. Una carriera legata all’Inter e a un piede mancino dolcissimo sulle punizioni
Mario Corso se n’è andato. All’improvviso, come il pallone che scendeva dalle sue punizioni. Fu il primo grande specialista in Italia, il secondo al mondo dopo il brasiliano Didi.
La parola “morte” per tutta la sua carriera è sempre stata associata alle foglie di un albero. Il suo mancino “a foglia morta” scavalcava barriere e faceva esultare i tifosi dell’Inter, la squadra alla quale ha legato gran parte dei suoi destini. Nerazzurro dal 1957 al 1973: 509 presenze, 94 gol e un solo piede utilizzato. “Ci ha battuti il sinistro di Dio” disse il ct israeliano nel 1961 dopo una doppietta di Corso.
Una delle rare gioie di Mariolino con la maglia azzurra, una delle tante volte in cui il suo mancino sprizzò magia.
“Se ne accorse Nereo Marini, il mio primo allenatore a San Michele Extra, il paesino in provincia di Verona da cui venivo. Disse che avevo una sensibilità particolare e mi faceva restare 2-3 ore a perfezionare quel gesto”, spiegò anni fa il giocatore che vestiva la maglia numero 11 e mandava baci col piede. Fu l’eroe di una coppa Intercontinentale vinta al Bernabeu contro l’Independiente, la prima nella storia del club. Fu l’artefice di una storica rimonta europea sul Liverpool. Fu anche il pupillo della moglie di Angelo Moratti e il rimpianto degli italiani che tifavano per la nazionale.
Le sue incomprensioni con gli allenatori gli chiusero le porte azzurre, anche per colpa di un gesto dell’ombrello rivolto verso il ct Ferrari che lo aveva escluso dal mondiale del ‘62. Ovviamente insulto arrivato dopo un gol mancino a San Siro.
Fu genio e tecnica. Poco amato dagli allenatori che volevano sacrificio e corsa, popolarissimo fra i bambini che rompevano finestre per imitare le sue prodezze balistiche. Mario Corso fu l’Inter fino al 1973. Poi il presidente Fraizzoli richiamò Helenio Herrera e Mariolino capì che era tempo di andarsene. Scelse il Genoa per chiudere la carriera. E contro la sua Inter segnò addirittura di testa.
Poi si ritirò, dopo aver vinto scudetti, coppe e segnato l’immaginario di una generazione. Si mise ad allenare. Lo fece soprattutto con i più giovani. A Napoli vinse uno scudetto Primavera nel ‘79, il primo nella storia della società. A metà anni ‘80 fu chiamato all’Inter a prendere il posto di Castagner. Guidò la prima squadra, ma non durò a lungo.
Poi si allontanò dal calcio, progressivamente. Scendendo lento e inesorabile. Come una foglia morta. Addio Mario Corso, chiamato Mandrake, sensibile come pochi. Non solo in quel piede mancino che faceva sognare San Siro.