Un italiano in Brasile, Osio: “Cosa vuol dire conquistare il Sud America”
“Che facciamo, Federica. Andiamo?”. Ottobre 1995: aveva 29 anni allora. Era di fronte a un bivio: Marco Osio, anconetano di nascita ma torinese di adozione, non sapeva che sarebbe entrato nella storia del calcio. La domanda a quella che sarebbe diventata la mamma di suo figlio Edoardo non era così semplice: andiamo in Brasile, o restiamo in Italia? Scelse la prima. Destinazione San Paolo: ad aspettarlo era il Palmeiras. “Sono tanti i brasiliani a essere venuti qui in Italia, io sono stato l’unico ad aver preso l’altra direzione”. Ostinata e contraria, direbbe De André. Ma esperienza migliore, forse, non poteva capitargli.
Italia-Brasile, viaggio sola andata. Per finire in una squadra fondata da italiani. “Ero al Toro”, ricorda a Gianlucadimarzio.com. Si trattava della sua seconda volta in granata, dopo esservi cresciuto nelle giovanili e avere esordito in prima squadra nel 1983. Sognava di diventare come Zaccarelli: entrambi marchigiani, entrambi centrocampisti. “Ero infortunato da un anno, non esisteva ancora lo svincolo (la sentenza Bosman sarebbe arrivata qualche mese dopo, ndr) e dovetti litigare per ottenere la rescissione. Quindi tornai a Parma”, l’altro suo grande amore oltre al Toro. Ci aveva giocato dall’87 al ‘93: la sua seconda casa. “Mi allenai con i Crociati di Collecchio, la seconda squadra di Tanzi. Il Palmeiras era sponsorizzato dalla Parmalat, era già autunno e si era liberato un posto e mi venne fatta la proposta. Decisi di accettare e finii in una squadra fortissima: Veloso in porta, Cafu, Rivaldo, Flavio Conceição, Müller, un ex Toro che mi ha aiutato subito a diventare parte del gruppo”.
Perché non è mai facile cambiare così tanto. “Il primo allenatore che trovai lì, Alberto Carlos, fece capire di non essere contento del mio arrivo. Sperava in Dino Baggio. Poi lo esonerarono e arrivò Luxemburgo, un carattere tutto particolare. Era di Rio, un bel carioca… Le cose cambiarono molto”. 20 partite in totale e un gol: in un anno è andata bene, ma c’era un bambino in arrivo e la scelta, soprattutto della madre, fu quella di rientrare in Italia.
Del Brasile, allenatore a parte, Osio non dimentica soprattutto l’accoglienza. Che non si aspettava: “La prima cosa che mi capitò fu un churrasco (grigliata mista, ndr) organizzata da Cafu. Parteciparono in tanti. I tifosi del Palmeiras poi conoscevano l’italiano, hanno cercato di farmi sentire a casa. Poi, diciamocelo: i calciatori sono dei privilegiati. Ovunque vadano, trovano sempre il modo di stare bene. Ma chi pensa di andare lì semplicemente per guadagnare lo stipendio, è proprio fuori strada. Il livello è alto, si vive di calcio”.
Nessuno come Osio. Per ora. Viveva a San Paolo, ma girava molto. “Rio è molto diversa da San Paolo, che mi ricorda Milano: è il centro economico del Paese. A Rio il calcio è tutto, davvero. Ai miei tempi, i giocatori si allenavano sulla spiaggia: gente come Romario, Edmundo e molti altri. Mario potrà lasciare il segno solo se andrà lì con la voglia di farlo, perché se volesse solo divertirsi, si perderebbe in un attimo. Anche in Brasile il calcio è cambiato molto: un tempo si giocava con un’erba molto spessa, e infatti il pallone era sempre attaccato ai piedi dei giocatori. Dopo i Mondiali è cambiato tutto: si segue il modello europeo. Si deve correre e non ci si può perdere in troppe finte. O i difensori ti prendono le caviglie senza pensarci troppo”.
Sorride. Pensando a Balotelli che ha sfiorato l’idea di andare proprio lì, tra le file del Flamengo. Quasi si emoziona quando racconta quello che vedeva. “A Rio”, continua, “i bambini delle favelas vanno a Copacabana. È una spiaggia enorme. Dopo il mare e la spiaggia, c’è un’altra distesa di sabbia, dove si trovano dei campi non segnati con delle porte. Sul tramonto, si vedono sempre i bambini giocare. Per qualcuno di loro è il futuro, vengono visionati anche dai grandi club”. Il calcio in Brasile è una cosa seria. È divertimento, passione, mescolanza di cultura. È speranza. Può essere un’esperienza che cambia la vita per sempre. “Io la rifarei”, conclude Osio. SuperMario ha detto di no. De Rossi ha scelto l'Argentina. Per ora, il primato resta suo.