Ottavo titolo consecutivo, dopo Buffon, anche per il Principino: l’ex centrocampista della Juventus ha vinto il titolo in Russia con lo Zenit San Pietroburgo
“Era una notte incantevole, una di quelle notti come ci possono forse capitare solo quando siamo giovani, caro lettore”. (Le notti bianche, Dostoevskij)
Era invece una mattina di fine estate quando Claudio Marchisio concludeva il capitolo più importante della sua carriera – e della sua vita – lasciare la Juventus. Ne era stato bimbo innamorato, giovane in rampa di lancio e poi simbolo e capitano. Quella mattina di agosto è tornato ad esserne soltanto un tifoso – sì, sempre innamorato – ma la sua carriera da calciatore è proseguita. Lontano, perché non era ancora pronto ad essere, della Juventus, un avversario.
Quel lontano è stata la Russia, un nuovo campionato, una nuova lingua, una nuova cultura. Una nuova sfida, che Marchisio ha raccolto con coraggio. Perché non è facile rimettersi in discussione a 32 anni, reduce da una fase non esaltante della carriera, e lasciare la propria comfort zone ricominciando da zero. Non lo è stato per l’uomo Marchisio, che però, se ci ha insegnato una cosa, è che il nuovo, lo sconosciuto e il lontano non lo repellono, ma lo attraggono. Probabilmente un pizzico più difficile lo è stato per il calciatore, che ha deciso di ricollocarsi in un nuovo contesto – tattico e di mentalità – sebbene con la personalità di prendersi una maglia numero 10, dopo aver lasciato la 8 e salutato i suoi tifosi in una fredda notte di dicembre a Torino.
Juve-Roma, dicembre 2018. Marchisio torna all'Allianz Stadium per salutare i tifosi bianconeri
E Marchisio sa come si fa. Perché ha scelto la sfida giusta: uno Zenit San Pietroburgo tornato Campione di Russia dopo quattro anni di astinenza, lo Zenit del bomber domatore di cavalli Azmoun – decisivo il suo innesto nel mercato di gennaio – e del sergente Dzyuba, che a 30 anni ha ritrovato pace e una seconda giovinezza; o della bandiera Anyukov, che a fine anno si ritirerà. Uno scudetto festeggiato in aereo dopo il pareggio contro l'Akhmat e la successiva sconfitta della Lokomotiv Mosca. Ma è diventato anche lo Zenit di Claudio Marchisio: non ancora quantitativamente – 15 presenze stagionali in tutte le competizioni e 2 gol – eppure il Principino si è calato nella nuova realtà, si è integrato in un gruppo che racchiude tante storie e le ha messe al servizio di una storia più importante: ha cavalcato l’onda, quella che è simbolo dello Zenit e che è ritratta in un quadro dell’Ermitage di San Pietroburgo, dove Claudio è stato intervistato un paio di volte.
Sì, perché questa non è stata soltanto una nuova tappa nella sua carriera, ma anche un viaggio: nella conoscenza, nel dolore di un nuovo infortunio che gli ha messo ancora una volta i bastoni tra le ruote senza però togliergli la voglia di ricominciare e, alla fine nella felicità di un altro trionfo. L’ottavo titolo consecutivo per lui: 7+1. La vittoria, a quelli come Marchisio, non volta le spalle. "Ho lasciato casa e ho trovato una famiglia a 6.000 km di distanza. Ho lasciato i miei sogni e ne ho trovati di nuovi. Ho lasciato la squadra del mio cuore ed ho trovato una squadra che è entrata nel mio cuore. Ho lasciato 7 scudetti di fila e ho trovato l'ottavo", ha scritto su Instagram. E la notte incantevole di San Pietroburgo non è il teatro della malinconia del sognatore di Dostoevskij, ma lo sfondo di un nuovo sogno realizzato da Claudio Marchisio.